Tempo Ordinario A – 27. Domenica
L’elezione come responsabilità
Il tema di questa liturgia è indicato nella prima lettura, nella quale si parla dell’elezione di Israele. Il profeta Isaia presenta il rapporto tra Dio e il suo popolo con l’immagine del rapporto tra un contadino e la sua vigna, che a sua volta è immagine del rapporto tra lo sposo e la sua sposa. Dio ama il suo popolo come uno sposo ama la sua sposa e lo riempie dei suoi doni, ma questo popolo è infedele perciò attira su di sé un severo castigo. Elezione quindi non significa privilegio ma responsabilità.
Nella parabola dei vignaioli omicidi Gesù riprende il tema biblico della vigna, in quanto simbolo dell’elezione di Israele come popolo di Dio. I vignaioli sono i capi che rappresentano tutto il popolo. Essi sono condannati perché si ritengono eletti, privilegiati, ma non sono all’altezza di questa loro responsabilità, anzi eliminano coloro che li richiamano ai loro doveri. Con questa parabola Gesù descrive in anticipo la tragedia del popolo giudaico che rifiuta il suo Messia e va incontro a un doloroso destino. I primi cristiani hanno interpretato la parabola in riferimento alla morte e alla risurrezione di Gesù: questi è rappresentato, a motivo della sua morte in croce, come la pietra scartata dai costruttori che però, in forza della sua risurrezione, è diventato testata d’angolo, cioè il fondamento di un nuovo edificio spirituale che è la comunità dei suoi discepoli. Inoltre per i primi cristiani il privilegio dell’elezione, perso dal popolo giudaico, sarebbe stato trasferito alla Chiesa, nuovo popolo di Dio, radunato da Gesù risorto. Ma in realtà Gesù mette in discussione l’idea stessa che esista un popolo eletto, dotato di particolari privilegi. Gesù raccoglie dei discepoli e assegna loro il compito di annunziare con lui la venuta del regno di Dio. Ma a loro non promette nessun privilegio. Per lui il regno di Dio è aperto a tutti, senza privilegi o esclusioni, e in esso si entra non perché si appartiene a un popolo o a una Chiesa, ma perché si portano i frutti che Dio si aspetta da ogni essere umano.
Questi frutti sono elencati nella seconda lettura. In essa Paolo esorta i filippesi ad accettare «tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode». È questo un programma di vita valido per ogni essere umano. Solo chi produce questi frutti entra nel regno di Dio, a qualunque popolo o religione appartenga.
Da tempi immemorabili si afferma che la Chiesa è il popolo eletto, a cui bisogna appartenere per ottenere la salvezza. Gesù non è di questo parere. Egli infatti ha assegnato ai suoi discepoli non una condizione di privilegio ma una responsabilità pesante, anche se gioiosa. Il concetto di elezione deve dunque essere superato. Ciò non ha però l’effetto di togliere importanza della Chiesa. Essa ha un ruolo fondamentale nella crescita spirituale e materiale dell’umanità, che però non deve essere concepito in modo esclusivo. La Chiesa deve essere considerata non come l’unica religione che conferisce la salvezza, ma come una famiglia di discepoli che rendono presente nella storia l’insegnamento di Gesù. L’appartenere a essa non è un’assicurazione per l’aldilà ma la fonte di un impegno per realizzare un mondo migliore, in collaborazione con tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
Non so se Gesù stesso si sia identificato con il figlio ucciso dai vignaioli e si sia presentato come la pietra scartata dai costruttori e diventata pietra d’angolo. Forse sono stati i discepoli a fare questo accostamento. Comunque Gesù doveva sapere che chi si mette con gli scarti dell’umanità rischia di fare la loro fine: non mancano gli esempi nella Bibbia e lui stesso deve averne fatto ben presto la dolorosa esperienza. Ha accettato il rischio e ne ha pagato le conseguenze.
La cosa strana è che il tema degli scarti, dei rifiuti è diventato di grande attualità. Più aumenta il benessere di una società, più crescono gli scarti: in tutti i campi. Le centrali atomiche producono scorie molto pericolose, che non si sa dove mettere. Ma anche i semplici cittadini producono abbondanti rifiuti che non sempre vanno a finire negli inceneritori. L’anidrite carbonica prodotta dall’uomo inquina l’atmosfera e accelera il cambiamento climatico. È di questi giorni il grido del papa che richiama alla gravità della situazione ed esige drastiche misure per prevenire una catastrofe ecologica.
Purtroppo accanto a tutti questi rifiuti ci sono anche innumerevoli scarti umani che stranamente aumentano anch’essi con la crescita del benessere di coloro che producano rifiuti di ogni tipo. Li vediamo nelle nostre strade, nelle stazioni ferroviarie, sotto i ponti. E poi ci sono i migranti che arrivano da noi alla ricerca di un avvenire migliore e si ritrovano sfruttati e abbandonati a se stessi. Tutti costoro ci disturbano, ci provocano sensi di colpa, non vorremmo vederli.
Eppure sono proprio loro la pietra angolare su cui costruire la nostra casa comune. Perché sono loro che ci richiamano al dovere di essere umani e di assumere tutto quello che è umano, anche se ci disgusta e ci provoca. E accogliere non vuol dire fare la carità, ma saper vedere nei più poveri ed emarginati la pietra scartata, cioè Gesù. In altre parole, accogliere il suo invito a trovare il senso della nostra vita non nelle cose ma, come dice Paolo, in tutto quello che è nobile, giusto e onorato, cioè umano.
Seguo con fatica certe letture e mi dicono poco. Mi sembrano fantasie create su fantasie: se Gesù è nato ebreo ed è morto ebreo come la storia ci dice, non ha fondato nessuna Chiesa e neppure una comunità di discepoli, intendendo questa come una comunità di cristiani. Certamente Gesù avrà avuto un gruppo di persone che lo seguiva, sembra un gruppo di pescatori e questi avranno certamente parlato di lui dopo la sua morte, ma non come primi cristiani, ma come testimoni dei fatti. Il cristianesimo è nato molto dopo e non aveva molto da spartire con l’insegnamento di Gesù. I vangeli hanno le loro fonti nelle Scritture ebraiche; lo si può facilmente constatare all’inizio di ogni vangelo, ma spesso anche inoltrandosi nei racconti troviamo riferimenti alla vita ebraica di Gesù, lo vediamo situato nella sinagoga, Luca dice “secondo il suo solito”(4,16),
Fino a quando cammineremo su binari paralleli così diversi tra loro? Ogni cambiamento viene dal basso, nell’evolversi del nostro pensiero, ma anche tra noi mi pare ci sia spesso una differenza di linguaggio, perché non cerchiamo di metterla a fuoco? Non è facile, ma è una grossa responsabilità che oggi tutti noi abbiamo. Credo che sia nostro compito fare da ponte tra il vecchio che non ha più significato e il nuovo che non c’è ancora e che, di intuizione in intuizione, dobbiamo iniziare a cogliere.