Tempo di Quaresima A – 4. Domenica
Il tema di questa liturgia consiste nella metafora della luce applicata alla persona di Gesù. Nella prima lettura si racconta l’episodio emblematico della chiamata di Davide come re al posto di Saul. Davanti a Samuele sfilano prima i suoi fratelli, maturi e robusti, ma alla fine è scelto proprio lui, un ragazzino privo di qualsiasi qualità regale, che non era neppure presente. L’insegnamento di questo testo è condensato nel detto: «L’uomo vede l’apparenza ma il Signore vede il cuore». Per una scelta gratuita di Dio anche Davide è un «inviato» come sarà il suo lontano discendente.
La lettura del vangelo approfondisce questo tema in quanto presenta l’esperienza di un uomo, cieco dalla nascita, che incontra Gesù e da lui è guarito. La guarigione del cieco nato è presentata da Giovanni come una illuminazione. Questa luce gli viene donata da Gesù mediante l’immersione in una fonte che si chiama Siloe, che significa «inviato». Questa immersione ha carattere simbolico in quanto illustra l’incontro con Cristo, l’inviato per eccellenza: èlui che porta al mondo la luce di Dio. La guarigione fisica, infatti, apre al cieco un percorso che lo porta a un incontro personale con Gesù, luce del mondo. Una volta guarito, egli affronta con coraggio gli oppositori che vogliono fargli negare il dono ricevuto. Non ha paura neppure della scomunica da parte delle autorità. Attraverso queste difficoltà egli giunge all’incontro finale con Cristo che si rivela a lui come il Messia. Tutto il racconto ha lo scopo di mostrare, attraverso l’esempio del cieco guarito, che Gesù è portatore di una luce capace di guidare i credenti verso Dio e fare di loro una comunità di fratelli. Da esso emerge il contrasto tra i farisei che non vogliono riconoscere Gesù e il cieco che riacquista la vista e alla fine giunge a riconoscere Gesù e a credere in lui. I primi credono di vedere, ma diventano sempre più ciechi perché sono chiusi nelle loro idee e preconcetti, mentre il cieco guarito si apre alla novità portata da Gesù e trova in lui il senso della vita.
Nella seconda lettura l’autore spiega che cosa significa accogliere Cristo luce del mondo. Per il credente si tratta sostanzialmente di rompere con il male e di orientarsi verso i frutti della luce, identificati nella bontà, nella giustizia e nella verità. In queste tre parole è condensato un programma di vita in cui la ricerca del bene non è mai disgiunta dall’apertura alla verità, in qualunque modo si manifesti, e dal rapporto di amore verso tutti i figli di Dio. E l’autore sottolinea che proprio comportandoci come figli della luce, e non con facili denunce, si vincono le tenebre che sembrano invadere il mondo.
La luce di cui parla la liturgia di questa domenica consiste nella possibilità di dare un senso alla propria vita. Ciascuno di noi si porta dentro delle domande a cui è difficile dare una risposta: da dove vengo? Che cosa ci sto a fare in questo mondo? Che cosa mi aspetta alla mia morte? Gesù è per noi una luce non perché dà una risposta prefabbricata a queste domande ma perché, da vero Maestro, ci stimola a ricercare e trovare noi stessi una risposta. Ma non sarà mai una risposta definitiva. L’unica risposta possibile sta nel vivere con sincerità in rapporto con lui, aprendo gli occhi a tutto quanto la vita e il rapporto con gli altri ci insegnano. Questo è anche il motivo che giustifica l’esistenza di una comunità cristiana.
Certo non capita ogni giorno che un cieco nato recuperi la vista. È quindi più che comprensibile che quando, secondo il racconto evangelico, ciò è capitato i presenti abbiano avuto dei dubbi e i capi religiosi abbiano voluto vederci chiaro. Noi oggi sappiamo che si tratta di un racconto simbolico e quindi cerchiamo di capirne il significato, quello che il narratore ha condensato nella frase finale. La prima domanda che ci viene in mente riguarda il significato della luce che Gesù è venuto a portare. Se uno cammina nella notte, la luce è indispensabile per poter vedere la strada e non sbagliare direzione. Gesù fornisce questa luce, non con dei bei discorsi ma camminando lui stesso davanti ai suoi discepoli. Costoro non sono certamente interessati alla sua fisionomia o ai suoi vestiti, ma a non perderlo di vista: il maestro non vuole essere lodato o incensato ma seguito.
Non è escluso che il discepolo abbia dei dubbi circa il cammino che il maestro sta percorrendo. Chi ha scoperto un vero maestro si fida di lui ma non è esonerato dal chiedersi dove mai stia andando. Se poi in lontananza scorge una croce, allora non può non prendere in considerazione l’unica alternativa possibile: cambiare strada. Ma ciò non è facile perché intorno ci sono le tenebre. Come fare?
Il racconto del cieco nato non lo dice, ma nei momenti in cui si ricade nel buio l’unico rimedio è quello di riscoprire che accanto a noi c’è qualcuno che arranca come noi e con il quale ci si può dare una mano. Non si può seguire Gesù da soli. In realtà da soli non si può neppure vivere: la vita non ha senso. Ma il condividere non è facile perché mette in questione il nostro individualismo, ci costringe ad abbandonare i nostri schemi e a vedere le cose in una prospettiva nuova.
I farisei erano troppo sicuri di sé per farlo, e alla fine proprio loro che credevano di vedere devono rendersi conto di essere ciechi. La stessa cosa può capitare anche a noi. In fondo siamo tutti un po’ farisei. Ma se ce ne accorgiamo, anche per noi c’è speranza. Solo chi riconosce di essere cieco può trovare qualcuno che l’aiuta ad attraversare la strada.