Pregare in tempo di coronavirus
In tempo di epidemia si sente da più parti l’invito a pregare. Anche persone poco o per nulla praticanti ne sentono il bisogno. Ma che cosa significa pregare in una situazione come questa? Ci sono tanti modi di pregare e ciascuno deve scegliere quello che è più confacente alla sua spiritualità. Però sarebbe bello comunicare agli altri quello che si è colto in questo difficile e doloroso frangente. Perciò faccio la proposta a chi segue questo sito: scrivete un commento a questo blog. E’ una buona occasione per dare forma ai propri pensieri e per fare qualcosa che normalmente non si fa per mancanza di tempo e di stimoli.
Chiedo che mi faccia capire che Lui è amore sempre,e per me con l’educazione ricevuta non è facile, e quindi vuole bene a tutti indistintamente quindi Gli chiedo di convertirmi al suo amore e che mi dia luce e il suo sguardo su tutte le vicende della vita.
Per altro sono sempre in ricerca di cosa voglia dire pregare e non dire parole.
Un caro saluto a tutti
Anch’io mi domando spesso cosa vuol dire per me pregare. Ognuno ha il suo modo di pregare. Per me vuol dire cercare di capire. Anzitutto capire me stesso, quello che sono veramente, quello che cerco nella vita, il mio progetto. E poi capire gli altri, al di là di quello che sembrano. Infine capire le vicende in cui mi trovo, cercando di vedere in esse dei segni di qualcosa di bello che sta accadendo attraverso quelli che considero come il travaglio del parto. E Dio? È questa una parola che non mi dice molto, anche perché ritengo che sia caricata di significati che non condivido. Preferisco pensare alla Provvidenza, un termine astratto ma molto significativo. E dialogare con il Maestro, chiedendo a lui quella luce che solo un vero maestro può dare, anche se è morto da 2000 anni.
Anch’io prego Dio spesso in questo periodo, non per me ma per i miei cari. Sono consapevole che una risposta diretta non ci sara’ (o forse sono io che non la vedo?), l’esperienza di Giobbe ci impedisce illusioni. Pero’ per me la preghiera e’ un modo di affidarmi a Dio, e’ appunto un gesto di fede. Un abbraccio a tutti da una Roma “spettrale”
Mi fa piacere che venga proposto su Nicodemo questo argomento del senso della preghiera, in tempo di coronavirus, ma non solo. Anch’io me lo sono spesso domandata e sinceramente non ho trovato risposta (anche per questo mi fa piacere mettere in comune le nostre riflessioni e sapere cosa ne pensano gli amici di Nicodemo). Non mi dicono granchè certe manifestazioni “collettive” come l’invocazione alla Madonnina dalle terrazze del Duomo, ma allora, che fare? Pregare nel proprio intimo perché il Signore ci dia la forza di resistere al male, che come sempre ha la forma dell’egoismo e dell’individualismo? Ma anche questa preghiera intima, personale, non è una forma di individualismo, a volte anche un sentirsi superiori a chi ama forme più partecipate e tradizionali di preghiera? Tra tante domande senza risposta, finisco per non pregare, anche se sempre mi rimane il dubbio di rinunciare a qualcosa di importante.
Come prego io in questi momenti di emergenza mondiale? Lo ammetto, non senza un velato senso di colpa , per me è davvero troppo difficile pregare con formule ripetitive, come il rosario per esempio, che in questi giorni la Chiesa ci invita tutti a ‘recitare’ . Lo sento come qualcosa di forzato, che viola il senso intimo della preghiera. Per me il pregare vorrebbe essere piuttosto un modo di vivere, di amare, accogliere, perdonare.
Un’esperienza di preghiera posso dire di averla vissuta l’altra sera verso le 18, quando improvvisamente sono stata distratta dalla lettura per l’irrompere di richiami da balconi e finestre. Giovani e meno giovani (finora perfetti sconosciuti ) si richiamavano con musiche, canti; gli anziani, come me, partecipavano con sguardi curiosi ma anche accorati. Ci siamo ritrovati tutti, a carte scoperte, quasi una richiesta aiuto vicendevole. Un’onda di tenerezza mi ha invaso, come se improvvisamente ci fossimo ‘conosciuti’ in profondità, ognuno con le sue istanze. Ecco : Dio era lì, e sì, ho pregato fervidamente per ognuno di loro, per tutti, per tutta l’umanità sofferente, e ho sentito la compassione di Dio che, qualunque cosa accada, ci segue amorevolmente nel nostro continuo difficile divenire. Credo che dopo, quando ci incontreremo nuovamente per strada – se ci ri incontreremo – sentiremo nuovamente quest’onda di affetto, questa solidarietà.
Da tempo la mia preghiera. coerente con il cammino della mia fede, non è più fatta di parole, né di richiesta, né di ringraziamento. E’ piuttosto un approfondimento di quel silenzio che mi fa entrare nella mia interiorità: lì, quando il silenzio si realizza, sento di essere accolta e di poter accogliere … credo di capire Giovanna quando dice “un’onda di tenerezza che mi ha invaso come se improvvisamente ci fossimo conosciuti in profondità” … la preghiera del silenzio è fatta anche di emozioni e queste fanno toccare corde che le parole non potrebbero mai raggiungere. Non sempre siamo capaci di lasciarci “invadere” (è molto giusto il termine usato da Giovanna), allora il silenzio diventa solitudine e ripiegamento su se stessi: aiutiamoci a restare vivi, comunicare è per tutti una grande forza. Grazie!