Tempo Ordinario A – 04 Domenica
Il tema di questa domenica è quello della povertà evangelica. Nella prima lettura si parla di un gruppo umano che sceglie deliberatamente la povertà. Questa però non consiste nel rinunziare al progresso e al benessere, ma nel fare sì che tutti abbiano accesso in modo equo al benessere prodotto. E ciò non solo in forza di leggi giuste, ma per una scelta di condivisione e di solidarietà.
Alla prima lettura corrisponde il brano delle beatitudini così come è riportato da Matteo all’inizio del Discorso della montagna. Fra di esse le più originarie sono la prima, la seconda e la quarta che corrispondono alle tre riportate da Luca. Esse si riferiscono a un’unica categoria di persone, costituita da coloro che, proprio a causa della loro povertà, sono afflitti e soffrono la fame. Dai racconti evangelici risulta che Gesù era circondato proprio da queste persone: malati, indemoniati, emarginati sociali e religiosi, in una parola persone provate nel corpo e nello spirito. Esse non appaiono di solito come particolarmente pie o giuste, almeno secondo i canoni farisaici, anzi molte appartengono al gruppo dei «peccatori». A questi poveri che lo circondano Gesù annunzia la felicità più piena. La loro condizione infatti sarà capovolta ed essi saranno i primi a entrare nel regno di Dio che sta per venire. Alcuni decenni dopo la morte e la risurrezione di Gesù, Matteo riferisce le sue parole a persone ormai cristiane, le quali godono già le primizie del regno di Dio; perciò propone come valore fondamentale la povertà, sottolineando però come essere poveri non serva a nulla se non si è «poveri in spirito», cioè se la povertà non è accettata e vissuta col cuore, in un atteggiamento di fiducia in Dio e di solidarietà con i fratelli. Egli aggiunge che lo spirito di povertà deve andare di pari passo con la misericordia, con la purezza di cuore, con l’impegno per la pace e il coraggio nella persecuzione.
La comunità di Corinto,come la descrive Paolo nella seconda lettura, era formata appunto da questi poveri che, diventando seguaci di Cristo, hanno trovato la salvezza, cioè la beatitudine da lui promessa.
Dal confronto tra il messaggio di Gesù e l’approfondimento di Matteo appare dunque che Dio non vuole la povertà e tanto meno la miseria, anzi vuole che sia eliminata. Ma paradossalmente per fare ciò è necessario possedere l’amore per la povertà, che spinge a non accaparrarsi i beni della terra ma a condividerli con coloro che ne sono privi.
Beata povertà!
Forse i poveri che Gesù dichiara beati avrebbero preferito sentirsi dire che presto sarebbero diventati ricchi. Ma a che pro? Semplicemente per uno scambio di ruoli? Gesù invece promette loro di entrare per primi nel regno dei cieli. Non certo di andare in paradiso dopo la morte: Gesù non parlava di un regno di Dio nell’aldilà bensì di un mondo più giusto, nel quale tutti avrebbero partecipato in modo equo ai beni della terra. Una promessa certamente rivoluzionaria, che Gesù ha convalidato dedicandosi lui stesso proprio agli ultimi, ai malati, ai diseredati, senza distinzione. Non era sua abitudine distinguere tra poveri veri e poveri fannulloni.
Quello che Gesù annunziava era troppo bello per essere vero. E anche pericoloso, perché i ricchi e i potenti inchiodavano su una croce senza pietà chi contestava i loro privilegi. E così Gesù ha fatto la fine che sappiamo. Che delusione! Ma in realtà la sua morte non fu un fallimento perché egli ha demandato ai suoi discepoli il compito di attuare il suo proclama in favore dei poveri, degli affamati, degli afflitti. Ma come? Forse impugnando un mitra o mettendo in campo dei carri armati?
No! Non era questo l’intento di Gesù, il quale fin dall’inizio ha fatto una scelta inderogabile per la non violenza. E allora come? La sua risposta è chiara: si combatte la povertà accettandola, condividendola, facendola diventare un progetto di vita, in altre parola trasformandola in una povertà in spirito. Ciò significa, secondo l’evangelista Matteo, essere miti, misericordiosi, mantenere il proprio cuore libero dall’avidità, lottare per la pace e la giustizia, accettare di essere perseguitati. Solo la povertà così intesa può vincere l’ingiusta povertà di questo mondo.
Le beatitudini diventano perciò una provocazione per coloro che magari poveri non sono, ma sperano in un mondo migliore. Dunque per noi! Gesù ci propone una scelta di campo che consiste nel formare insieme quel popolo umile e povero di cui parlano Sofonia e Paolo. Senza un’autentica vita di comunità il messaggio di Gesù si volatizza, anzi diventa quell’oppio dei popoli di cui parla Carlo Marx.