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Tempo di Pasqua B – 4. Domenica

Gesù pastore e guida

Il tema di questa liturgia è quello del ruolo che Gesù svolge all’interno della sua comunità, la Chiesa. Nella prima lettura è Pietro che annunzia ai giudei la morte e la risurrezione di Gesù, affermando chelui è la pietra scartata dai costruttori che è diventata testata d’angolo.La comunità dei credenti si fonda dunque su Gesù e forma con lui un edificio spirituale, il nuovo tempio, cioè il luogo in cui Dio si rende presente.Pietro aggiunge che Gesù soltanto è la salvezza per tutti. Senz’altro Dio ha diverse vie di salvezza. Ma è pur vero che tutte convergono in quella indicata da Cristo e attuata dai suoi discepoli. 

L’immagine del buon pastore, a cui si richiama il brano del vangelo, riprende e approfondisce il tema del rapporto di Gesù con coloro che lo seguono. Nella nostra cultura l’immagine del pastore non è più familiare. Tuttavia essa resta significativa perché fa comprendere molto bene le modalità con cui Gesù attua la salvezza.Gesù è il pastore del gregge perché, diversamente dai falsi pastori, dà la vita per le sue pecore. Con il suo esempio egli esercita dunque nei confronti dei credenti un influsso profondo che li scuote e li trascina. Egli si presenta come un leader spirituale che, proprio perché è profondamente unito a Dio, è capace di stabilire con i suoi seguaci un rapporto profondo, coinvolgendoli in un’esperienza vissuta che trasforma la loro vita. L’immagine del gregge ha anche il vantaggio di mostrare come il percorso verso Dio non può essere compiuto da soli, ma deve avvenire all’interno di una comunità, i cui membri interagiscono tra di loro e con il loro Maestro. 

Infine la seconda lettura ricorda ai credenti che sono personalmente figli di Dio. Tutti gli esseri umani sono metaforicamente figli di Dio, ma Gesù ha portato qualcosa di nuovo: la consapevolezza di esserlo e quindi la possibilità di vivere fino in fondo secondo questa dignità.

Mentre l’immagine del sacrificio offerto da Gesù morendo in croce mette in luce soprattutto il suo rapporto con il Padre, quella del pastore e del gregge mostra più direttamente il ruolo che Gesù, in forza del suo rapporto con il Padre, svolge nei confronti di coloro che credono in lui. Gesù appare così come la guida che influisce su di loro non insegnando dottrine o imponendo precetti ma comunicando loro la sua esperienza di Dio, in forza della quale ha affrontato con coraggio la morte, seguita dalla risurrezione. È proprio attraverso il rapporto con lui che i credenti imparano a comunicare fra loro, abbattendo le barriere che li dividono e aprendosi al servizio verso tutta la società.

Tempo di Pasqua A – 4. Domenica

Il pastore e il gregge

La liturgia di questa domenica propone il tema di Gesù buon Pastore e di riflesso ci invita a riflettere sul ministero nella Chiesa. Nella prima lettura viene riportata la conclusione del primo discorso missionario fatto da Pietro nel giorno di Pentecoste e poi la reazione da parte della gente. Pietro annunzia che Dio ha costituito come Signore e Cristo quel Gesù che essi hanno crocifisso. Gesù esaltato è l’unico pastore della comunità. Perciò Pietro invita gli ascoltatori a convertirsi e ricevere il battesimo, cioè ad accogliere Gesù come guida e a esprimere mediante il Battesimo il rapporto con lui. E infine li esorta a salvarsi da questa generazione perversa: ciò non significa fuggire dal mondo ma operare per trasformare alla luce del Vangelo la società in cui si vive.

Nel brano del vangelo, secondo l’evangelista Gesù esprime il suo rapporto con chi lo segue alla luce di quello che è il rapporto tra il pastore e le pecore del gregge. In quanto pastore, Gesù «chiama le pecore una per una e le porta fuori dal recinto», cioè stabilisce con i suoi discepoli un rapporto personale che si basa sulla conoscenza vicendevole. In altre parole non dà ordini e direttive, ma apre con loro uno scambio che li porta a una crescita comune nella solidarietà. Egli «cammina innanzi a loro», vivendo lui per primo in sintonia con il suo messaggio, invitandoli a seguirlo e a camminare senza paura. Gesù li mette in guardia dai falsi pastori che fanno i propri interessi e non si prendono cura delle pecore: sono persone che invece di servire la comunità si servono di essa. Gesù si presenta anche come la porta, cioè come colui che non solo introduce coloro che lo seguono al rapporto con Dio ma lo realizza in se stesso, diventando lui il nuovo tempio di Dio.

Nella seconda lettura Pietro propone l’esempio di Gesù, definito come pastore e custode delle nostre anime: a lui attribuisce un atteggiamento radicale di non violenza. È questa la modalità con cui il Pastore guida il suo gregge

In una comunità cristiana l’unico pastore è Gesù e tutti i suoi membri devono sentirsi come fratelli e sorelle che interagiscono in forza della loro fede e del loro rapporto con Gesù. Coloro che ricevono un ministero comunitario sono pastori solo in senso analogico, in quanto strumenti dell’unico Pastore. Nella comunità essi non hanno un posto privilegiato ma semplicemente un compito specifico, che è quello di rappresentare al vivo l’unico Pastore. 

Tempo ordinario C – 24. Domenica

La misericordia di Dio

La prima lettura presenta un Dio adirato e vendicativo, che vorrebbe distruggere il popolo perché ha adorato un vitello d’oro; egli si placa solo in seguito all’intercessione di Mosè che gli spiega tutti i motivi per cui deve perdonare il popolo peccatore. È un racconto che sa molto di mitologia in quanto descrive il «peccato originale» di Israele e le sue conseguenze: lo scopo è, da una parte, quello di affermare il rapporto indissolubile che lega Dio al popolo e, dall’altro, di mettere il popolo davanti alla responsabilità che esso comporta. Dio non distrugge il popolo, ma riserva ai peccatori una terribile punizione. Questa immagine di un Dio che si lega a un popolo, lo perdona e poi lo castiga, è piuttosto inquietante. A Dio viene attribuito quello che era il comportamento di un grande re dell’antichità, magnanimo e generoso, ma a cui bisognava stare sottomessi a scanso di terribili conseguenze. È questa la religione di Mosè.

Nelle due parabole del vangelo (omettiamo quella del figliol prodigo che si legge già in quaresima) non si parla più di peccato, di castigo e di misericordia. Il pastore che ha perduto una pecora e la donna che ha smarrito la moneta fanno ciò che farebbe ciascuno di noi: chiunque non si rassegna facilmente a perdere una cosa che gli è cara, anche se non di grande valore e si rallegra quando la ritrova. Il paradosso appare nella prima parabola, in quanto il pastore lascia nel deserto le altre novantanove, con il rischio che, per recuperarne una, perda tutte le altre. Il significato è chiaro: la misericordia di Dio si riversa non sul popolo o sulla massa ma su ciascuno in modo personale, a prescindere dai suoi meriti e dal suo stato sociale. È questa la religione di Gesù. Luca però sottolinea che le due parabole sono state pronunziate da Gesù perché gli scribi e i farisei lo accusavano di accogliere i peccatori e di mangiare con loro. I cosiddetti peccatori non erano delinquenti ma semplicemente persone che non si attenevano alla legge mosaica. Ma ascoltavano Gesù e quindi, pur con tutti i loro limiti, erano alla ricerca della verità. Secondo Luca dunque Gesù vuole sottolineare che Dio non si accontenta di persone che si adattano a esercitare gesti rituali o ad accettare formule precostituite, ma gradisce coloro che, pur essendosi allontanati dalla pratica religiosa, vogliono capire il senso della vita e il rapporto con l’Assoluto.

Nella seconda lettura, secondo l’autore di questo testo, Paolo dichiara di essere stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento, ma di avere ottenuto misericordia perché agiva per ignoranza, lontano dalla fede. Egli è presentato così come il modello del peccatore pentito che è diventato, per grazia di Dio, un apostolo. Ma in realtà Paolo non era un peccatore ma un giudeo devoto, preoccupato delle sue pratiche religiose, che, dopo aver incontrato Gesù, ha capito che Dio vuole non un’obbedienza formale alla legge ma il cuore delle persone e si è sentito chiamato ad annunziare questa buona notizia in tutto il mondo.

La religione degli scribi e dei farisei è ancora viva nel profondo del nostro cuore e determina a volte giudizi severi nei confronti di chi sbaglia. Che cosa comporta per noi accogliere la religione di Gesù?