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Avvento B – 4. Domenica

La dignità messianica di Gesù

La liturgia di questa domenica, che precede immediatamente il Natale, presenta alla considerazione della comunità il tema della dignità messianica di Gesù. Il termine messia, in italiano «unto» e in greco christos, indica il re di Giuda, discendente di Davide, in quanto consacrato con il rito dell’unzione. La prima lettura parla di una promessa fatta al re Davide, in forza della quale Dio si impegna a far sì che sul suo trono vi sia sempre uno dei suoi discendenti; inoltre gli promette di stringere con ciascuno di loro un rapporto specialissimo, analogo a quello di un padre con il suo unico figlio. Da questa profezia nasce, dopo la caduta del regno di Giuda, l’attesa di un re discendente di Davide che alla fine dei tempi sarà unto da Dio come re (Messia) con il compito di instaurare il suo regno in Israele e in tutto il mondo; egli perciò riceverà in modo speciale la dignità di Figlio di Dio. Al tempo di Gesù questa figura era interpretata in vari modi, ma sempre con una forte connotazione politica e militare.

Nel vangelo si presenta nuovamente il racconto della visita dell’angelo a Maria. Per capire questo testo, a cui non corrisponde nulla di simile in Marco, il vangelo più antico, bisogna ricordare che, secondo gli strati più antichi della tradizione evangelica, Gesù non ha mai preteso di essere il Messia ma si è limitato a non smentire, in qualche occasione, coloro che gli attribuivano questa dignità. Dopo la sua morte i primi cristiani si sono convinti, in forza della sua risurrezione, che lui era veramente il Messia atteso dai loro connazionali; al tempo stesso però hanno sottolineato come egli abbia inaugurato il regno di Dio non con le armi ma morendo in croce per i nostri peccati. Solo alla fine dei tempi sarebbe ritornato come re glorioso e giudice dei vivi e dei morti. Con il racconto simbolico dell’annunzio a Maria, Luca vuole mostrare come a Gesù competano, fin dalla nascita, i grandi titoli che in Israele si attribuivano al futuro Messia. Tutto il vangelo, di cui questa scena rappresenta il prologo, doveva spiegare in che modo egli intendeva la sua regalità.

Nel piccolo brano scelto come seconda lettura, si afferma che nel Vangelo di Gesù viene rivelato il piano misterioso di Dio che vuole la salvezza di tutte le nazioni.

L’affermazione della messianicità di Gesù per i primi cristiani aveva lo scopo di sottolineare lo speciale rapporto che lo univa a Dio. Purtroppo essa ha aperto la strada al culto di Gesù, facendo a volte dimenticare che egli non ha mai preteso l’adorazione della sua persona ma piuttosto ha invitato i suoi discepoli a seguirlo e a praticare il suo insegnamento.

Santissima Trinità A

L’incontro con il Dio inconoscibile

Nel primo concilio di Nicea, che ha avuto luogo nel 325, è stata formulata la dottrina secondo cui Dio è unico quanto a natura ma in lui ci sono due persone, il Padre, il Figlio; successivamente è stata aggiunta una terza persona, lo Spirito santo. Questa dottrina ha consentito il superamento delle divergenze allora presenti nel movimento cristiano. Con il tempo però è diventato una formula che, proprio perché è continuamente ripetuta, non suggerisce più nulla ai cristiani ordinari. È dunque importante riscoprire l’origine biblica di questa dottrina e i riflessi che ha nella vita spirituale dei credenti.

Nella prima lettura è riportato il nucleo centrale del messaggio biblico, secondo il quale il mondo trae origine da una Realtà superiore, chiamata YHWH, che l’ha voluto e l’ha realizzato attraverso un’evoluzione che è durata miliardi di anni. Questo Dio è misericordioso, non tanto perché perdona il peccato di chi si pente, ma perché accetta tutte le creature che da lui hanno origine, nonostante tutti i loro limiti e le loro miserie, e dà loro armonia e finalità. È per questa sua misericordia che Dio ha ricevuto l’appellativo di Padre.

Nel brano del vangelo la paternità di Dio viene espressa come un immenso amore che si manifesta in massimo grado nella persona umana di Gesù. In quanto atto supremo di amore, il suo essere innalzato sulla croce appare come una gloria e non come un’umiliazione. Egli diventa così Maestro e ispiratore di chi si apre al suo messaggio. Ogni essere umano è equipaggiato per fare l’esperienza di Dio. Senza questa possibilità non potremmo vivere. Esistono però uomini che hanno percepito il divino in un modo speciale e sono diventati le guide spirituali dell’umanità. Gesù è uno di questi. Per i suoi discepoli è lui in sommo grado il Rivelatore del Padre. In lui essi hanno visto un riflesso speciale del Dio nascosto, il volto umano di Dio.

Nella seconda lettura, Paolo invita i cristiani a praticare l’amore vicendevole. Poi esprime i suoi saluti mediante una formula trinitaria in cui il Padre viene visto come fonte dell’amore e il Figlio come colui che ci ha donato la grazia di Dio; al terzo posto viene evocato lo Spirito come garante della comunione, cioè del legame profondo che unisce i credenti fra loro e con Dio. In altre parole il Dio nascosto si è manifestata in Gesù di Nazaret e agisce mediante lo Spirito da lui elargito nel cuore di chi crede in lui.

La Trinità è una formula che è stata imposta spesso con metodi violenti e intolleranti. Oggi è importante che non sia più ripetuta mnemonicamente ma aiuti a comprendere il mistero di un Dio nascosto che si rivela come Padre mediante il suo Figlio Gesù Cristo e muove come soffio vitale persone e cose perché evolvano verso quella pienezza che egli ha assegnato loro come scopo della sua creazione. 

Tempo di Quaresima A – 1. Domenica

La tentazione

La quaresima inizia con una riflessione sul tema della tentazione. Nella prima lettura si parla della creazione dei progenitori e della loro caduta. È un racconto mitologico, che riguarda non tanto l’esperienza di una improbabile coppia originale, quanto piuttosto quella di ciascuno di noi. I progenitori cedono alla tentazione di essere come Dio. È questa la grande tentazione dell’uomo, che si concretizza nel mettere se stesso al centro, pretendendo che tutto, persone e cose, ruotino intorno a lui.

Nel brano del vangelo si racconta la tentazione che Gesù ha dovuto affrontare all’inizio della sua vita pubblica. L’evangelista parla di una tentazione in tre momenti: trasformare le pietre in pane, buttarsi giù dal pinnacolo del tempio, adorare il diavolo per avere da lui il potere su tutti i regni del mondo. Anche qui non si tratta di una descrizione oggettiva dei fatti, ma di un racconto che esprime in modo simbolico la pressione che sarà esercitata su Gesù in tutto il suo ministero, per indurlo a capeggiare un movimento di rivolta armata contro i romani. Era questo ciò che la gente si aspettava dal Messia in quanto Figlio di Dio. Questa concezione del Messia si basava sulla ricerca del potere economico e politico nonché del consenso pubblico come mezzo per realizzare una società migliore. Gesù ha vinto le suggestioni del diavolo e ha puntato invece su una grande azione risanatrice, che partiva dal cuore della gente, pur sapendo che ciò avrebbe comportato, apparentemente, una sconfitta.

Nella seconda lettura, Paolo parla della nostra solidarietà con Adamo, l’uomo peccatore, e la sua sostituzione con la solidarietà con Cristo. Questa comporta per noi il superamento della tentazione di mettere il nostro io al primo posto. Ciò si realizza quando si comprende che non si può essere felici da soli e che un mondo migliore si basa sul rapporto con l’altro. 

Le tentazioni di Gesù sono le stesse a cui sono andati incontro Israele e la Chiesa nella loro storia millenaria. Sono anche le stesse a cui è sottoposto ciascuno di noi. Purtroppo sia Israele che la Chiesa hanno spesso ceduto alla tentazione. Anche noi, nel nostro piccolo, cediamo facilmente alla suggestione del potere umano, in tutti i suoi aspetti. Non c’è bisogno di chiamare in causa Dio o il diavolo per spiegare la nostra inclinazione al male. La tentazione fa parte del nostro essere creature limitate e angosciate dalla paura. E così anche la caduta. Ma Dio è lì per indicarci la strada e per darci la forza di percorrerla.