Avvento B – 2. Domenica
La prima lettura, citata anche nel brano del vangelo, indica la liberazione come tema di questa seconda domenica di Avvento . Infatti nel brano del Deutero-Isaia il profeta proclama ai giudei esuli in terra di Babilonia un lieto annunzio: Dio ha posto fine alla loro schiavitù e, come fa un pastore con il suo gregge, li guida attraverso il deserto verso la terra promessa. Come nell’esodo dall’Egitto, un gruppo di sbandati, mentre affrontano insieme gli ostacoli apparentemente insormontabili che si frappongono al loro cammino, ritrovano la loro identità di popolo. Tutto sembrava perduto, invece la vita riprende più rigogliosa che mai.
Nel brano del vangelo Marco racconta la comparsa di Giovanni il Battista, presentandolo come il precursore di Gesù. Giovanni annunzia l’arrivo di uno più forte di lui, al quale non è degno di sciogliere i legacci dei calzari. Per andargli incontro in modo degno egli indica tre condizioni: conversione, confessione e battesimo. La conversione, nel linguaggio biblico, non significa né cambiare religione né cambiare vita, ma un «ritornare al Signore» che, nella lingua greca, viene interpretato come «cambiare mentalità». La confessione dei peccati significa riconoscere pubblicamente i propri limiti, i propri errori, con la disponibilità a cambiare il proprio comportamento.Il battesimo infine è un segno della purificazione interiore che ne consegue.Giovanni sceglie come luogo della sua predicazione proprio il deserto, perché è in esso che si era attuata la liberazione di Israele, sia nell’esodo dall’Egitto che nell’uscita dall’esilio babilonese. Egli è vestito, come gli antichi profeti, di peli di cammello, cioè è privo di qualsiasi interesse umano. La scena indica un percorso di liberazione, in attesa di una svolta nella storia dell’umanità: la venuta di un mondo migliore al quale ci si prepara mediante una trasformazione dei cuori. In questa descrizione l’evangelista anticipa in modo simbolico quello che sarà l’annunzio del regno di Dio, che costituisce il centro del vangelo di Gesù.
La seconda lettura mette in luce l’ostacolo più grande che si frappone a questo percorso di liberazione. I tempi si allungano, sembra che Dio tardi, si fanno sentire la delusione, la mancanza di senso, l’impotenza, che comportano la tentazione di abbandonare l’impresa. L’autore del brano risponde che i tempi di Dio non sono i tempi dell’uomo. Dio ha pazienza perché le vere trasformazioni non avvengono improvvisamente, magari con un intervento violento. Solo con la pazienza si costruisce qualcosa di nuovo che trasforma il mondo.
Credere non vuol dire aspettarsi dei cambiamenti repentini nella storia di questo mondo, ma piuttosto essere convinti che Dio opera nel silenzio dei cuori e realizza quello che ha promesso, servendosi anche del poco o tanto che ciascuno di noi è riuscito a fare. Perciò la fede dà la possibilità di ricominciare sempre da capo, sapendo che solo un impegno attivo e non violento porterà il cambiamento dei cuori e di riflesso anche delle strutture di questo mondo.
Ma chi era in realtà Giovanni Battista? Un sant’uomo che «esortava i giudei a condurre una vita virtuosa e a praticare la giustizia vicendevole e la pietà verso Dio», come afferma lo storico Giuseppe Flavio? Oppure il precursore di Gesù, come lo hanno descritto i vangeli? Matteo e Luca lo ricordano anche come un predicatore apocalittico, che preannunziava la fine del mondo e invitava tutti a convertirsi per uscirne indenni. Ma tutti e tre gli evangelisti non dimenticano che egli era sostanzialmente un leader politico-religioso, che predicava la rinascita di un popolo umiliato e oppresso, facendo balenare in tutti la speranza che, passando per il deserto, avrebbero ripreso possesso della propria terra: così come quattro secoli prima Isaia annunziava agli esuli di Babilonia, come è detto nella prima lettura, il ritorno nella terra promessa.
Certo per un popolo abitare nella propria terra, libero da un potere nemico che l’opprime e lo sfrutta, è una grande fortuna: in tempi recenti gli ebrei l’hanno vista realizzarsi dopo la tragedia della Shoa, quando molti di loro hanno dato origine allo stato di Israele. Ma per Giovanni, come per Isaia, il prendere possesso di una terra non basta, bisogna eliminare il peccato: e questo consiste nell’escludere gli altri, quelli che c’erano prima, nel mettere il proprio interesse al di sopra del bene comune, nello sfruttamento dell’altro, uomo o donna che sia. Senza conversione, il possesso della terra può diventare un sopruso, causa di altre terribili calamità. Un pericolo che esiste anche per noi se, fra l’altro, non sappiamo accogliere chi proviene da territori in guerra o afflitti dalla miseria.
Nonostante le catastrofi che già ora sono effetto del cambiamento climatico, la fine del mondo annunziata nella seconda lettura non è ancora imminente. Ma oggi è richiesta una conversione a livello globale. Senza una collaborazione tra tutte le nazioni del mondo non si arriva da nessuna parte: non ci si salva da soli. È questa una sfida che riguarda tutta la società, anche le chiese e tutte le religioni.
grazie di questi incontri: fatico un po’ a ritrovarmi in discorsi che hanno a che fare col nostro dover essere o dover sapere o dover fare, ma dove si sente il sapore di esperienze vissute e volute, mi sento aiutata. Mio figlio, lontano da anni dalla “vita cristiana” in cui lo abbiamo cresciuto, pur nei tempestosi anni delle comunità di base, anzi proprio segnato nella sua crescita inaspettatamente da quelle esperienze, mi ha comunicato ieri che il suo dottorato di geopolitica in Brasile, in una università che più atea non si può, lo dedicherà a papa Francesco, di cui i suoi colleghi e tutors colgono il grande ruolo appunto geopolitico.
E mi chiede così en passant che differenza corre tra sicurezza e salvezza. rispondo con le tue parole Sandro, “Germogliare giustizia” realisticamente significa riuscire a vedere quel che si fa fatica a vedere, che è il nuovo e il giusto che nasce. In questo Avvento mi viene in mente chi mi ha citato la Luisa Muraro: commentando la visitazione di Maria a Elisabetta, la immagina che la cugina la saluti così: vieni gravida, stai generando il mondo….
Che bello questo tuo contributo Francesca!
anch’io, come tante altre amiche, ho figli lontani dalle radici che pure abbiamo contribuito noi a movimentare ma rimangono….qualche piccola grande soddisfazione ci rincuora…per il resto prego e confido….buone feste
Sintesi della videoconferenza
Il tema di questa domenica ci ha richiamato alla mente i dibattiti riguardanti la teologia della liberazione che è fiorita nei due decenni dopo il Concilio. Allora ha suscitato grandi speranze perché ha messo in luce come il messaggio cristiano riguardi non solo le scelte personali e l’aldilà ma anche la società e la politica. Oggi si sente un po’ di stanchezza e di riflusso, ma alcuni dati allora emersi hanno superato la prova del tempo. Soprattutto si è sottolineata la necessità di un impegno personale per rinnovare le strutture della società, andando oltre le semplice iniziative assistenziali, pur lodevoli, a cui molti cristiani si dedicano. I campi in cui si richiede l’impegno dei credenti, insieme a tutti gli uomini e donne di buona volontà, sono molti: la politica, l’economia, i rapporti tra uomo e donna, la lotta contro la povertà e la guerra, l’impegno per la democrazia ecc. Si è affrontato anche il tema della violenza, che a volte si invoca come mezzo per contrastare le strutture ingiuste, ma si è detto che, salvo casi estremi, la violenza non risolve nulla. Invece il vangelo, anticipato nella predicazione di Giovanni, esige che di fronte alla violenza che permea la nostra società ognuno sappia rientrare in se stesso, riconosca i suoi limiti e cambi mentalità (conversione). Ma questo esige un serio cammino comunitario. Conversione e impegno sociale vanno di pari passo: se questo non avviene, c’è il pericolo di aggravare la situazione proiettando sugli altri i nostri problemi. L’essenziale è avere la visione di un mondo migliore per cui impegnarsi. Ne parla la seconda lettura, che prospetta la creazione di una terra e di un cielo nuovi e invita a superare l’impazienza di vedere realizzati i propri progetti. Questa visione «escatologica» non ha bisogno di una rivelazione speciale, ma la venuta di Gesù, preannunziata da Giovanni, ha fornito un segno che aiuta a superare tutte le difficoltà e le delusioni che accompagnano l’impegno per rinnovare la società umana.
Non violenza e pazienza sono la strada per la liberazione e per la costruzione di un mondo migliore. In sintesi quello che mi sembra di aver capito e lo condivido pienamente. Per quanto riguarda il nostro impegno personale, che vada oltre l’assistenzialismo, io penso che tutti noi siamo esseri sociali ed abbiamo dei talenti da mettere a frutto nel contesto in cui viviamo. Un contesto che parte dai piu’ vicini a noi e si estende come un’onda nel mare in cui tutti ci troviamo. Ognuno di noi ha dei limiti ma ha anche delle capacità. Metterle a frutto e condividerle con altri in un percorso di crescita, che nasce dalle relazioni con l’altro, e’ il nostro compito perche’ un mondo migliore e’ sempre possibile, ma serve il contributo di tutti.
Infine vorrei dire che la violenza genera sempre violenza, la non violenza non sempre genera pace ma di sicuro ne indica il cammino.
Fino a quando età e salute me lo hanno permesso ho sperimentato concretamente in diverse realtà che cosa significa vivere quel senso comunitario che oggi invece troppe volte ci limitiamo solo a del amare. Ho recentemente scritto un libretto “Ricordare é vivere” proprio con l’intento di ricordare quelle realtà che oggi stanno scomparendo. Tutte, e in questo caso mi riferisco soprattutto al volontariato e al terzo settore, richiedono capacità di organizzazione, attenzione preperata ai problemi sociali, continuità d”impegno: sono queste le realtà che nelle istituzioni e sul territorio possono portare mutamento, ma sono poche le persone che le conoscono e ne colgono l’ importanza.
Volontariato e terzo settore hanno una loro legislazione che lungi dal burocratizzarle imprime loro un carattere di efficienza e serietà di risposta. Forse oltre una spinta più forte verso il senso di un agire comunitario, dovremmo avere più curiosità e scoprire quali “soggetti comunitari” potrebbero rendere più incisiva la nostra azione.
Qualcuno conosce l’esperienza di Padova, riconosciuta dal Presidente della Repubblica “Capitale del volontariato”?
Sta facendo e con grande impegno cose bellissime, potremmo ricavarne utili suggerimenti per, dare contenuti alle nostre aspirazioni.,