Battesimo del Signore A
Il fatto che Gesù abbia ricevuto il battesimo da Giovanni è importante non solo perché segna l’inizio del suo ministero pubblico, ma anche perché rappresenta una scelta che caratterizzerà la sua futura attività. Nella prima lettura si presenta la vocazione di un anonimo profeta, chiamato Servo di yhwh, nel quale Dio si compiace. Su di lui scende lo Spirito del Signore che gli dà forza per riaggregare la massa dei giudei dispersa nell’esilio e riportarli nella loro terra. A tale scopo egli non dovrà provocare un movimento di rivolta ma rinnovare il loro rapporto con yhwh, il Dio che li aveva liberati dalla schiavitù egiziana. Il Servo infatti è stato chiamato «per la giustizia», cioè per manifestare la fedeltà di Dio al suo popolo. Egli porta a termine questo compito rifiutando ogni tipo di violenza e di costrizione. Ciò significa immergersi personalmente in una massa di gente frustrata, logorata da anni di esilio, preda di tensioni ed egoismi: un metodo certamente rischioso che l’ha portato alla morte. Ma che si è dimostrato vincente.
Nel brano del vangelo si racconta il battesimo di Gesù. I primi cristiani hanno situato in questo contesto la sua manifestazione come Messia e Figlio di Dio, mettendo in secondo piano il fatto che egli è stato battezzato in mezzo a una folla di persone che andavano al Giordano per confessare i loro peccati. Ma è proprio immergendosi in questa moltitudine composta prevalentemente da persone emarginate e sofferenti, esseri umani considerati come peccatori dai rappresentanti della religione ufficiale, che Gesù dimostra di essere il Messia annunziato dalle Scritture. Egli ha assunto il ruolo non di un re potente ma quello del Servo che ha liberato i giudei dall’esilio: solo così infatti poteva «adempiere ogni giustizia», cioè manifestare al popolo la misericordia di Dio, come egli stesso dice a Giovanni. Immergendosi nell’acqua con i peccatori Gesù non ha compiuto dunque qualcosa di disdicevole per un giusto, ma piuttosto ha dimostrato come il vero «giusto», il «Figlio di Dio», il Messia, si riveli non appartandosi in un luogo sacro ma condividendo le sofferenze e i limiti propri di ogni essere umano.
Nella lettura degli Atti degli apostoli è Pietro stesso che illustra questa scelta di Gesù spiegando che egli, dopo e come effetto del battesimo, passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo. A ciò tendeva la sua scandalosa amicizia con i peccatori. Per questo ha accettato fin dall’inizio la prospettiva di una morte violenta.
Per i cristiani ricevere il battesimo significa fare proprie le scelte di Gesù: come lui, anch’essi accettano di non separarsi da questo mondo ma di essere solidali con i poveri, gli emarginati e quelli che hanno fatto nella vita scelte sbagliate: solo così possono fare anch’essi l’esperienza consolante di essere figli di Dio.
L’efficacia di un perdono
Possiamo immaginare, stando a quello che ci racconta Matteo (ma perché gli altri evangelisti non ne parlano?), perché Giovanni Battista sia rimasto piuttosto interdetto quando Gesù gli ha chiesto di amministrargli il suo battesimo. Ma forse più che all’imbarazzo del Battista, Matteo ha dato voce a quello dei primi cristiani: che cosa ci sta a fare Gesù, colui che è in tutto simile a noi eccetto che nel peccato, in mezzo a una folla di peccatori che confessano i loro peccati? Gesù non si dilunga con il Battista: «Dobbiamo compiere ogni giustizia», che tradotto significa: «Vuolsi così colà…». A noi il compito di capire.
Unendosi ai peccatori Gesù ha voluto dichiarare non solo la sua simpatia e misericordia per loro, ma anche la sua condivisione. E ha dimostrato che il vero giusto non si trova fuori della mischia, in un luogo neutro, dove pronuncia giudizi, assoluzioni o ammonimenti, ma in mezzo a chi soffre, lotta, sbaglia, si rialza con difficoltà. Il giusto è colui che si sporca le mani con i suoi simili, condividendone i sogni e le cadute.
Solo chi sa immergersi in questa umanità sofferente e peccatrice può iniziare un movimento di liberazione, coinvolgendo tutto un popolo nella ricerca di un mondo migliore. Il perdono dei peccati non è una questione solo personale; esso si attua quando scatta la molla di un impegno sociale per la giustizia e la solidarietà, per una fraternità vera. È questo che ha fatto Gesù immergendosi nel Giordano insieme a una folla di peccatori. Cominciando da lì ha saputo coinvolgere altri nel suo cammino. E ancora oggi ci invita a seguirlo, sapendo che quelle poche gocce d’acqua versate sulla nostra testa da bambini volevano dire una scelta per lui e con lui.
Già, il battesimo dei bambini. Un uso che si è trasformato in abuso. Un rito vuoto di senso. A meno che i genitori sappiano veramente offrire al loro bambino un ambito alternativo in cui crescere: un ambito in cui non domina il dio denaro ma il vero amore di chi si dona e lotta per la dignità di ogni essere umano. Il problema non è se amministrare o no il battesimo ai bambini ma piuttosto se coloro che lo amministrano formano o no una vera comunità cristiana, come Gesù la intendeva.
Concordo pienamente con quanto scrive Giovanna, ma sono anche sicura che, se tornassi indietro nel tempo, ancora deciderei con mio marito ( un uomo del tutto indifferente ai riti) di battezzare i miei figli. Per noi era una testimonianza, un segno di valori in cui credevamo e in cui ci saremmo sforzati, pur con tutti i nostri limiti, di crescere i figli. Era un modo per dire, anche attraverso un momento concreto: ” Noi cercheremo di crescervi in questi valori, che ci appaiono giusti e gli unici in grado di dar senso alla vita.”
Se poi i figli, diventati adulti, vorranno continuare a camminare sulla strada dei valori evangelici, indipendentemente dal frequentare o meno la chiesa, oppure decideranno di intraprendere altre strade, questo dipenderà da molti fattori e sarà, giustamente, nella loro piena libertà.
Penso Rita che i valori “evangelici” possano essere vissuti anche da chi non frequenta la Chiesa, come ha constatato Giovanna e come dici tu stessa affermando che, divenuti grandi, i tuoi figli avrebbero potuto vivere i valori evangelici anche senza frequentare la Chiesa. Ma penso anche che non siano i tuoi figli o i giovani in genere che devono adeguarsi alla Chiesa, ma la Chiesa che deve trasformarsi completamente, rivedere le sue origini e rifare un percorso: anche Martini ha detto che è indietro di 200 anni!
Alla ritualità del battesimo di oggi (e dico ritualità perché quanti giovani oggi, ma anche quanti adulti sanno cogliere e ritengono importante per il loro vivere cercare i significati dei simboli?), io preferirei sostituire l’esperienza di una vita di comunità che deve diventare sempre più misura ed espressione del nostro essere ed agire. Ma la fedeltà a una comunità, alle persone che con te vivono, richiede di superare l’individualismo di cui siamo intrisi e che a volte neppure vediamo!
Penso che la Chiesa, invece di essere tutta un rito, dovrebbe creare luoghi e momenti di comunicazione e di dialogo, dove le diverse ispirazioni possono esprimersi e incontrarsi, sulla base di una piattaforma comune del riconoscimento reciproco e della precarietà. Dobbiamo pensare oggi a una laicità, che non esprima la separatezza tra civile e religioso, credente non credente, che sia un metodo piuttosto che un contenuto.
La Chiesa, per essere noi dei cristiani, interpretare cioè il pensiero di Gesù, ci chiede di aiutarla a cambiare?
Sono discorsi che coinvolgono e ne va un po’ della chiarezza dell’esposizione, ma proviamo ad aiutarci … forse, in questo modo, ci prepareremmo anche a un secondo battesimo, non più rituale: che cosa c’è di più profondo ed essenziale del cercare insieme?
Giovanni Battista non chiede di partecipare a un rito, ma propone una scelta di vita, la scelta di intraprendere un cammino di conversione.
Mi pare che siamo tornati indietro rispetto a Giovanni che già aveva superato il concetto di rito. A volte penso che se sparisse il vangelo, il cristianesimo continuerebbe lo stesso; non così se sparissero i sacramenti, perché tutta la chiesa, a tutti i diversi livelli gerarchici, ruota intorno ai sacramenti.
Gesù non sembra aver istituito nessun sacramento e, se penso all’eucaristia, che cosa voleva dirci nell’ultima cena? Di mangiare il suo corpo e di bere il suo sangue durante una celebrazione che si svolge nel tempio o piuttosto di vivere “insieme” come lui stesso ha fatto in quella cena e molte altre volte? La fedeltà ai rituali occupa troppe volte e troppo lo spazio della fedeltà al vangelo. Ma i riti non cambiano le persone, anzi possono arrivare ad annullare il senso vitale di un rapporto. Pensiamo ad una stretta di mano, a un bacio, simboli di un rapporto di amicizia e di affetto, se da simboli li si ritualizza, muore l’esperienza, la comunicazione e resta solo il gesto, ripetuto meccanicamente, per abitudine.
Gesù non amava assolutamente i riti e lo vediamo in Marco quando chiama ipocrita chi si meraviglia che i suoi discepoli prendono il cibo con mani impure. Sembra dirci che non sono importanti i rituali religiosi ma il comportamento etico: la nostra capacità di vivere in pienezza evangelica tutti i nostri rapporti e relazioni nell’appartenenza alla nostra comunità religiosa e al mondo. Scopriremo nuovi significati?
Il battesimo amministrato ai bambini aveva il compito di salvare il neonato dal fuoco dell’inferno (Agostino) o dal limbo (felicità dimezzata) e al tempo stesso è diventato un rito di passaggio. Si è così dimenticato il senso originario del battesimo in quanto espressione della fede in Cristo e scelta di vita conforme al Vangelo. Oggi sempre più genitori non chiedono il battesimo per i loro figli. Un disastro? O forse piuttosto un’opportunità? Certamente un richiamo a un annunzio del Vangelo rivolto non più ai bambini ma agli adulti, per molti dei quali può diventare di nuovo una “buona notizia”.
Ultimamente anche l’’unica figlia, di una mia conoscente (“fervente cattolica”), ha preferito non sposarsi in Chiesa e di conseguenza di non battezzare i tre piccoli nati dal suo, direi saldissimo legame. Questo per rimandare ai figli stessi la libertà di una scelta consapevole, che ritengono sia invece stata imposta a loro, e anche perciò apparentemente rifiutata. Dico apparentemente rifiutata, perché pur non bazzicando più la Chiesa, entrambi vivono intensamente quei valori di solidarietà, di sobrietà che sono poi quelli evangelici, carta di identità di ogni Cristiano.
Lei però, la nonna, non riesce proprio farsene una ragione e parlandomi delle bravissime nipotine, vira poi sempre in tono accorato: prega, prega perché le battezzino… per me è una ferita in cuore.
Anche nella mia famiglia di lunga tradizione cattolica, in due famiglie si è scelto di non battezzare i figli, proprio per lasciare loro la facoltà di una scelta tanto importante. Non sono mancati tentativi di…conversione, per non dire di chi ha suggerito di battezzarle …in segreto con la formula Io ti battezzo ecc., come di un ‘rito magico ‘
Devo riconoscere che anche in questi casi si tratta di due famiglie fra quelle più coerenti, che pure se da tempo non frequentano la Chiesa, sono però fra le più attente alla condivisione, al bene comune, al rispetto della natura, ai diritti di tutti gli esseri viventi, con particolare attenzione al rispetto della dignità di ogni essere umano.
Io voglio credere, che queste giovani generazioni crescendo con questi valori in cuore, scopriranno un giorno di camminare già sulla Sua strada, e Lo riconosceranno con gioia.