Corpo e Sangue del Signore C
Per milioni di persone il pane, inteso come cibo necessario per la sopravvivenza, è un problema quotidiano di difficile soluzione. Questo tema è segnalato dalla prima lettura dove si racconta un fatto di cui è protagonista Abramo. Egli aveva saputo che suo nipote Lot era stato sequestrato da alcuni re che avevano invaso il territorio in cui abitava; egli allora, con l’aiuto di altri uomini, era corso a liberarlo. Di ritorno da questa spedizione gli va incontro Melkisedek, re di una piccola città-stato, quella che sarà in seguito Gerusalemme, il quale offre pane e vino a lui e ai suoi uomini. È un gesto di grande umanità. Non per nulla il suo nome significa: «il mio re è giustizia». Siccome era anche sacerdote di una divinità chiamata «dio altissimo», egli benedice Abramo in nome della sua divinità. Fede e solidarietà vanno di pari passo.
Nel brano del vangelo si riporta il racconto della moltiplicazione dei pani, così come lo ha trasmesso l’evangelista Luca. Anche in esso si fondono due temi, quello umanitario e quello spirituale. Infatti da una parte Gesù è preoccupato per il bene fisico di una folla affamata, dall’altra fa un gesto che richiama l’ultima Cena, nel corso della quale ha istituito l’eucaristia. Ciò che unisce questi due momenti è l’annunzio della venuta imminente del regno di Dio. Sfamando la folla, Gesù ha voluto dimostrare che il regno di Dio è un mondo ispirato all’amore e alla giustizia, nel quale non ci sarà più chi dispone di miliardi e chi muore di fame. Nell’ultima Cena, donando il suo corpo come cibo ai suoi discepoli, Gesù ha dimostrato che la giustizia del regno di Dio non si attua semplicemente aumentando la produttività ma soprattutto creando rapporti nuovi di solidarietà e di fraternità.
Nella seconda lettura viene ripreso il tema del rapporto che intercorre tra esigenza umanitaria e rapporto personale con Gesù. In essa infatti Paolo si riferisce a quanto capitava a Corinto in occasione del pasto comune che accompagnava la celebrazione eucaristica: i cristiani più benestanti, che avevano portato gran parte del cibo, banchettavano allegramente mentre i poveri facevano la fame. A loro Paolo racconta quello che Gesù ha fatto nell’ultima cena non perché i cristiani di Corinto non ne fossero al corrente, ma per ricordare che non si può fare la memoria di Gesù e poi discriminare i più poveri.
Quando celebriamo l’eucaristia dobbiamo essere consapevoli che stiamo facendo un gesto di grande portata non solo spirituale ma anche sociale e politico. Non tanto perché magari, in certi casi, facciamo delle collette per scopi umanitari, ma perché la memoria di Gesù ci insegna a impegnarci in tutti i campi per trasformare la società in cui viviamo in una famiglia in cui regna una vera giustizia ispirata dall’amore.
Chissà da dove sbuca fuori questo Melkisedek, re di Salem, sacerdote del Dio Altissimo, che va incontro ad Abramo, lo benedice e offre pane e vino. Ma a chi lo offre? Ad Abramo stesso o al suo dio? Nel secondo caso si tratterebbe di un sacrificio. Il narratore non lo dice, ma lascia aperta questa seconda possibilità. La figura di Melchisedek, sacerdote e re, riappare subito dopo nel Sal 109/110 come figura del re di Gerusalemme, l’antica Salem, il quale era discendente di Davide e quindi progenitore del Messia. Da questo collegamento la liturgia deduce implicitamente che Melkisedeq è la figura di Gesù Messia che nell’ultima Cena ha offerto se stesso in sacrificio a Dio sotto il segno del pane e del vino, e questo gesto si ripete nella celebrazione della messa.
Le altre due letture adottano un registro diverso, quello cioè del pasto comunitario. Nel brano del vangelo, Gesù appare come colui che, dopo aver annunziato la venuta del regno di Dio, ne spiega il significato non solo religioso, ma anche sociale e politico sfamando una folla di poveri ed emarginati: tutti hanno diritto al pane quotidiano e i suoi discepoli devono battersi perché nessuno ne sia privato.
Nella seconda lettura, Paolo richiama ai cristiani di Corinto questa esigenza. Essi si radunavano per celebrare la cena del Signore, mediante un pasto comunitario al termine del quale venivano ripetute le parole e i gesti di Gesù. Ma i più benestanti, i quali portavano la maggior parte del cibo, arrivavano in anticipo e lo consumavano fra di loro; ai più poveri lasciavano solo quei frammenti di pane e quel poco vino sui quali ripetevano le parole di Gesù. Per Paolo questo comportamento rappresentava un tradimento dell’intenzione di Gesù, che era morto in croce perché aveva difeso i diritti e la dignità di ogni essere umano.
In sintesi, il corpo e il sangue di Cristo, simboleggiati nel pane e nel vino della messa, sono l’espressione del dono che Gesù ha fatto di se stesso al Padre, difendendo la dignità e i diritti di ogni essere umano. Mangiare questo pane e bere questo vino significa per i cristiani ricordare e anticipare nel suo nome quella solidarietà vicendevole che caratterizza il mondo nuovo da lui annunziato. Non solo fra di loro ma in tutta la società. Una memoria dunque che ribalta le strutture ingiuste sulle quali si basano i rapporti in questo mondo.