Tempo Ordinario C – 05. Domenica
La liturgia di questa domenica affronta il tema della vocazione in quanto chiamata alla presidenza della comunità. Nella prima lettura la vocazione di Isaia viene situata significativamente nel tempio di Gerusalemme, che era la più importante struttura istituzionale di Israele. Chi gli appare è il Dio di Israele, al quale esso era dedicato. Non viene quindi messo in questione il tempio in quanto tale, ma il popolo dalle labbra impure al quale Isaia sa di appartenere. Egli viene purificato e solo allora viene inviato a questo popolo per chiamarlo alla conversione.
Anche nel vangelo appare che Pietro, davanti alla manifestazione di Dio in Gesù, si riconosce come peccatore. Diversamente da quanto era capitato a Isaia, Gesù non fa nessun gesto di purificazione su di lui, ma gli dice di non temere e gli dà il compito di essere pescatore di uomini. Per Pietro la vittoria sul peccato, nel quale lui stesso è coinvolto, non può avvenire mediante gesti rituali ma solo diventando pescatore di uomini. Questa espressione in Luca significa letteralmente «uno che prende vivi gli uomini». Per Luca è importante sottolineare che per attirare gli uomini a Cristo, Pietro non dovrà fare come i pescatori che, prendendo i pesci, li uccidono, ma dovrà mantenere vivi coloro a cui si rivolgerà, potenziando le loro facoltà umane di intelligenza e di libertà. Quindi non dovrà essere semplicemente un leader istituzionale, preoccupato del buon funzionamento dell’istituzione di cui è responsabile, ma una figura profetica, capace di coinvolgere gli altri nella sequela di Gesù al servizio di tutta la società.
Nella seconda lettura Paolo spiega in che cosa consista l’oggetto della fede che egli ha annunziato ai corinzi: si tratta essenzialmente della liberazione dal peccato, che Cristo ha attuato mediante la sua morte e risurrezione. Su questa linea si pone anche lui con il suo apostolato instancabile nella fondazione di comunità nelle quali si manifesti la nuova vita portata da Gesù.
L’eliminazione del peccato, che si annida nei cuori e nelle strutture ingiuste della società, è stato il vero scopo della predicazione di Gesù e il motivo per cui è stato ucciso. La lotta contro il peccato così inteso è anche l’unica ragione che giustifica l’esistenza della Chiesa. Perciò chi riceve un compito direttivo al suo interno non deve essere interessato unicamente alla sua difesa e preservazione ma deve guidarla nell’impegno per realizzare una società più giusta e solidale. Per questo deve essere autorevole senza essere autoritario, esercitando il ruolo profetico che non deve mai mancare in un’istituzione che ha il compito di annunziare, come ha fatto Gesù, non se stessa ma la venuta del regno di Dio.
Ogni essere umano è dotato di capacità e talenti che gli permettono di organizzare la propria vita e di contribuire al bene comune. Si parla di vocazione quando uno si sente chiamato a svolgere un servizio specifico in favore della società ed elabora un suo progetto personale per realizzarlo. Un credente sente questa scelta come la risposta a una chiamata di Dio che gli affida una missione. Nelle letture di questa domenica si mostra come tre grandi personaggi biblici, Isaia, Pietro e Paolo, hanno percepito questa chiamata. La consapevolezza del proprio peccato, che appare nei tre casi, può essere espressa meglio come la percezione dei propri limiti che apre la strada alla fiducia in Dio e alla collaborazione con gli altri. La missione assegnata loro consiste in un messaggio da portare alla società. Per Isaia sarà l’annunzio di una catastrofe e l’appello alla conversione. Pietro e Paolo invece devono diventare «pescatori di uomini», cioè annunziare a tutti la salvezza portata da Gesù e invitare tutti a riceverla entrando a far parte di una comunità, la Chiesa. Paolo indica in sintesi il tema del suo messaggio: la morte e la risurrezione di Gesù e il perdono dei peccati. Nel corso dei secoli questo annunzio ha dato origine spesso a un proselitismo basato sulla convinzione secondo cui fuori della chiesa non c’è salvezza. Oggi noi ci sentiamo a disagio con questa formulazione del messaggio cristiano e vorremmo rileggerlo in chiave di impegno per la giustizia e la solidarietà da perseguire in stretta collaborazione con tutti gli uomini e donne di buona volontà. Ma a questo punto sembra inutile parlare di Dio, di Cristo e dei dogmi della Chiesa: l’appartenenza a una Chiesa viene sentita sempre più come un ostacolo a un vero dialogo con tutti. Si rende dunque necessario riformulare il messaggio, cioè riscoprire la figura di Gesù come quella di un uomo che ha combattuto fino alla morte per la giustizia e la solidarietà e comprendere la Chiesa come una comunità di persone che si rifanno all’esempio di Gesù e ne ricercano le implicazioni per la società di oggi.