Avvento C – 3. Domenica
Il tema della liturgia di questa domenica è quello della gioia, che diventa sempre più intensa man mano che ci si avvicina al Natale di Gesù. Il profeta Sofonia invita alla gioia gli israeliti perché essi, ormai di ritorno dall’esilio, non devono più temere nessuna sventura: Dio è in mezzo a loro come un Salvatore potente, il quale rinnova il suo popolo e gli comunica la sua stessa gioia. La gioia più grande non deriva dal ritorno nella terra dei loro, ma dall’incontro con Dio, su cui si fonda la loro vita comunitaria.
Nel brano del vangelo Luca ricorda che Giovanni il Battista, prima di annunziare la venuta del Messia, ha trasmesso un messaggio di carattere sociale. Egli si rivolge prima a tutti gli ascoltatori in generale e poi a due categorie particolari: i pubblicani e i soldati. A tutti egli raccomanda la condivisione mentre esorta i pubblicani ad accontentarsi di quanto loro spetta e i soldati a non sfruttare la loro professione per estorcere denaro alla gente. Solo dopo aver esortato alla solidarietà e alla giustizia sociale Giovanni annunzia la venuta del Messia. Come dire che per aprirsi al Messia che viene bisogna cercare il vero bene di tutti. È lui che impegna i suoi discepoli nella ricerca di un rapporto sociale giusto e fraterno. Questo rapporto con i propri simili deve andare di pari passo con la difesa dell’ambiente in cui essi vivono. La vera gioia scaturisce dall’incontro con Cristo e si approfondisce mediante l’impegno per la giustizia sociale e per la difesa dell’ambiente.
Nella seconda lettura riappare il tema della gioia. Secondo Paolo il credente deve essere sempre lieto nel Signore. Questa gioia deriva dall’abbandono nelle mani di Dio, mediante il quale si supera ogni angustia e paura.
In un mondo in cui tante sicurezze sono andate in crisi, noi purtroppo siamo portati a vedere prevalentemente le contraddizioni di cui è piena la nostra società. I motivi di gioia sono pochi e spesso lasciano il posto a cocenti delusioni. Oggi la liturgia ci suggerisce la gioia di sapere che il Signore è con noi. Il Natale ce lo ricorda. La gioia nasce dall’incontro comunitario con lui e si espande poi nei rapporti con il prossimo. Essa si manifesta nella pace del cuore, che rende il credente amabile nei confronti di tutti e lo spinge a testimoniare la verità del vangelo mediante la ricerca del bene comune.
Si. “Questa gioia deriva dall’abbandono nelle mani di Dio, mediante il quale si supera ogni angustia e paura.”
Non so se per gli antichi ebrei che, dopo il lungo periodo dell’esilio, ritornavano nella loro terra, tutto andasse veramente bene. Tuttavia il profeta Sofonia li invita alla gioia. La svolta che si stava verificando nella loro vita era infatti un segno che Dio li aveva perdonati, era in mezzo a loro, gioiva con loro e garantiva loro la salvezza. E su questo tema della gioia per l’avvenuta salvezza insiste con accenti entusiasti il salmo responsoriale. Anche Giovanni Battista invitava implicitamente alla gioia, in quanto annunziava la venuta imminente del Messia, il salvatore del suo popolo. E Paolo, scrivendo ai Filippesi, li esorta ad essere pieni di gioia perché il Signore è vicino. Egli pensava al ritorno imminente di Gesù, la cui attesa doveva riempire di gioia i credenti, provocando in loro un senso di fiducia e di speranza.
Purtroppo per noi questa gioia sembra scomparsa, nonostante l’allegria rumorosa delle feste natalizie. Gesù è venuto ma è stato messo in croce e, nonostante le attese dei primi cristiani, non è ritornato. Chi ci garantisce la salvezza in un periodo di crisi come quello in cui stiamo vivendo, quando sembra che tutti pensino ormai solo a riempire di armi gli arsenali?
Eppure le letture di questa domenica non possono lasciarci indifferenti. Senza un po’ di gioia la vita umana diventa facilmente insopportabile. Forse il nostro sbaglio consiste nel pensare che la gioia ci venga data dall’esterno, quasi da una mano misteriosa che ci salva dalle ansie quotidiane. Giovanni Battista ci indica un’altra strada: se hai due tuniche, danne una a chi ne è privo; condividi il tuo cibo con chi non ne ha; non cercare di avere più di quanto ti compete; tieni conto che c’è più gioia nel dare che nel ricevere e che la gioia dell’altro è la tua gioia.
Quello che ci dà gioia è il condividere con gli altri non solo qualcosa del nostro superfluo ma anche e soprattutto quello che abbiamo di più intimo: i nostri sentimenti, la nostra visione della vita e del mondo, la fede che anima le nostre scelte. La gioia più grande è quella di non sentirci soli ma di essere parte di questa umanità, la stessa per la quale Gesù è morto, dando origine a quel flusso di partecipazione e fraternità che noi chiamiamo comunità. Per questo è lui il nostro Salvatore.
Il cristianesimo è stato spesso presentato come la religione del sacrificio in vista di una felicità nell’altra vita. Le letture di questa domenica, chiamata «domenica gaudete», parlano invece di una gioia che anima fin d’ora la vita del credente. Dobbiamo distinguere la gioia dal piacere. Il piacere viene dal fatto di aver ottenuto l’oggetto dei nostri desideri spesso egoistici e ha normalmente una durata limitata, mentre la gioia consiste in uno stato d’animo continuo. Per gli antichi ebrei questa gioia nasceva dalla vittoria sui nemici ma soprattutto dall’esperienza della presenza di Dio in mezzo a loro. Per noi la gioia deriva dal credere in una Provvidenza misteriosa che regge le vicende di questo mondo; questa fede ci apre gli occhi perché vediamo i segni di un cammino che l’umanità sta compiendo, pur con tante difficoltà, verso quel mondo migliore di cui parlano le Scritture. Solo se crediamo in un avvenire migliore per tutti ci sentiamo portati ad aprirci agli altri. Quello che ci comunica la gioia è il condividere con gli altri non solo qualcosa del nostro superfluo ma anche e soprattutto quello che abbiamo di più profondo: i nostri sentimenti, la nostra visione della vita e del mondo, la fede che anima le nostre scelte. Questa condivisione ci aiuta a crescere come persone, superando i nostri blocchi e liberandoci da noi stessi. È questa la fonte di una gioia sempre maggiore che neppure le vicende dolorose della vita possono offuscare. La gioia che ne deriva si identifica, come dice Paolo, con la pace interiore che ci rende affabili e attenti agli altri. In sintesi possiamo dire che la gioia consiste nella scoperta e nella piena assunzione dell’umanità, la nostra e quella di tutti gli altri, vicini e lontani. La ricerca di questa gioia fa sorgere il bisogno di una vita comunitaria, fatta di comunicazione profonda, di affetto, di partecipazione, che ci apre a rapporti sempre nuovi con l’umanità che ci circonda. È questo lo spirito del Natale, la bella notizia della nascita di Gesù.