Tempo Ordinario B – 33. Domenica
Nella prima lettura, ricavata dal libro di Daniele, si preannunzia un periodo di grande angoscia mai visto precedentemente. Il riferimento è alla persecuzione di Antioco IV Epifane, un secolo e mezzo prima di Cristo, quando i giudei erano stati oggetto di pressioni e di violenze perché abbandonassero la loro religione e aderissero a quella dei dominatori. In questo contesto si afferma la corrente apocalittica che preannunzia il giudizio di Dio, la distruzione dei regni di questo mondo e la venuta con le nubi del cielo di uno «simile a un figlio d’uomo» al quale sarà dato il regno di Dio (cfr. Dn 7). Secondo Daniele alla fine si salveranno solo quanti sono scritti nel libro di Dio, cioè coloro che gli sono rimasti fedeli; allora anche coloro che erano morti per la loro fede risorgeranno per partecipare alla gloria del loro popolo. In altri testi dello stesso periodo (le Parabole di Enoc) il figlio dell’uomo è immaginato come un essere celeste, preesistente, che viene da Dio, al quale sarà assegnato il compito di giudice escatologico.
Nella sua predicazione, Gesù aveva preannunziato l’imminente venuta del regno di Dio, cioè di quel mondo migliore, fondato sulla giustizia e sulla pace, che Dio aveva promesso al suo popolo. Egli preannunziava anche il giudizio finale e la venuta come giudice del «Figlio dell’uomo». Ma al tempo stesso ha presentato se stesso come questo figlio dell’uomo venuto nell’umiltà della condizione umana per annunziare il perdono dei peccati come ultima possibilità per evitare la condanna nel giudizio finale. I primi cristiani hanno interpretato la vita terrena di Gesù, coronata dalla sua morte e risurrezione, come preparazione alla sua seconda venuta come giudice universale per instaurare il regno di Dio. Marco riprende la tradizione riguardante il ritorno di Gesù ma sottolinea che esso avrà luogo in un futuro che è al di fuori delle conoscenze umane. In questo modo egli richiama l’attenzione sull’oggi, ossia sulla realtà quotidiana, nella quale il cristiano deve vivere e testimoniare la sua fede.
Nella seconda lettura viene riformulata questa credenza: Gesù è venuto una prima volta per togliere il peccato; ora siede alla destra del Padre aspettando ormai che tutti i suoi nemci siano posti sotto i suoi piedi.
Mediante il ricorso alle categorie apocalittiche, le letture di questa domenica ci aiutano a capire che, nonostante tutto, il mondo è nelle mani di Dio, che lo guida mediante Gesù verso un fine di vita e di gioia. Al di là delle concezioni tipiche del loro tempo, esse contengono un messaggio di speranza. Alla luce della fede anche i segni più drammatici dei nostri tempi devono essere visti come un invito non alla rassegnazione ma all’impegno perché le promesse di un mondo migliore si realizzino.
Se gli apocalittici dei tempi di Gesù vivessero oggi, vedrebbero forse confermate le loro fosche previsioni circa la fine del mondo: guerre, miseria, migrazioni, alluvioni, falsi profeti, nulla manca di quelle disgrazie che li spingevano a dire che ormai Dio si è stancato di questo mondo e sta per intervenire a distruggerlo. Naturalmente a tutto vantaggio loro e del gruppo a cui appartenevano. Non solo, ma anche con la convinzione che i loro amici defunti sarebbero tornati in vita per godere la felicità di quel mondo nuovo che Dio stava per creare.
Anche Gesù condivideva con gli apocalittici la percezione di una crisi profonda che affliggeva la società in cui viveva e aspettava un evento straordinario che avrebbe cambiato il corso della storia. In primo piano per lui non c’era però la distruzione del mondo ma un modello nuovo di società a cui riferirsi e per cui impegnarsi, il regno di Dio. E non si è dedicato a elaborare progetti astratti, ma si è messo in gioco personalmente predicando e facendo gesti di solidarietà con i più poveri ed emarginati. Per lui era importante non tanto criticare i ricchi e i potenti ma piuttosto ridare una dignità e una speranza a chi ne era privo.
Per questo i discepoli di Gesù hanno creduto che la sua morte non fosse un fallimento, ma la dimostrazione più chiara dell’amore di Dio per l’umanità: una convinzione che ancora oggi noi facciamo fatica a condividere perché inconsciamente pensiamo a un Dio che risolve i nostri problemi piuttosto che a un Dio che riafferma la nostra dignità. Pur avendo fatto dei gesti che allora sembravano miracolosi, Gesù ha predicato un Dio che si rivela non nei miracoli ma dandoci la fede in un bene per il quale vale la pena di lottare fino in fondo.
Per questo dopo la sua morte i discepoli di Gesù hanno pensato che lui per primo era risorto e presto sarebbe ritornato per riunire a sé tutti coloro che lo avevano seguito. Forse però volevano dire semplicemente che Gesù continua a ritornare in tutti quelli che sanno rinunziare ai propri interessi e si impegnano con coraggio per attuare un mondo migliore, nel quale predomina non la violenza ma una fraternità vera.
Le letture di questa domenica fanno ricorso al linguaggio dell’apocalittica giudaica, molto diffusa al tempo di Gesù. Questa letteratura aveva lo scopo di suscitare nei credenti, che soffrivano per la dominazione di potenze straniere, la speranza di una imminente liberazione. Questa avrebbe comportato la risurrezione di coloro che si erano mantenuti fedeli alla loro religione fino alla morte (i martiri), il giudizio universale, la distruzione delle potenze straniere considerate come realtà diaboliche, la creazione di un mondo nuovo, governato da Dio e dai suoi rappresentanti; in questo contesto si attendeva come giudice un personaggio divino, chiamato «Figlio dell’uomo». Per i primi cristiani questo inviato era Gesù, di cui si attendeva l’imminente ritorno. Mediante un linguaggio fortemente simbolico, i testi apocalittici mettono in luce come bene e male si mescolino nella realtà di questo mondo. Questo però non è abbandonato a se stesso e il male non avrà mai il sopravvento sul bene. Perciò bisogna lottare per un mondo migliore, senza illudersi che esso si realizzi automaticamente in tempi brevi: esso resta un ideale per il quale vale la pena di impegnare tutta la propria vita. La fede in un Dio che governa i destini del mondo non apre la porta al fatalismo ma dà il coraggio di andare avanti nonostante tutte le difficoltà. Con la sua vita e la sua morte Gesù ci indica la strada da percorrere e ci sostiene mediante la comunità dei suoi discepoli.