Tempo Ordinario A – 24. Domenica
Il tema di questa liturgia è indicato dalla prima lettura. In essa si richiama il fatto che Dio vuole il perdono e non esaudisce coloro che invece mantengono il rancore e praticano l’odio. L’obbedienza a Dio si manifesta soprattutto nel perdono. È questa l’esigenza fondamentale dell’alleanza tra Dio e Israele e quindi di qualsiasi religione. Sembra però che il perdono di Dio sia subordinato a quello dell’uomo: Dio perdona a condizione che l’uomo per primo sia disposto a perdonare. Il salmo responsoriale mette in luce invece la misericordia di Dio che non ammette condizioni.
Il tema del perdono viene ripreso nel brano del vangelo in cui è riportata la parabola del servo spietato. Questa parabola era forse originariamente autonoma e Matteo ne ha fatto un’illustrazione del principio secondo cui bisogna perdonare settantasette volte al giorno, cioè sempre. Presa in sé, la parabola non riguarda però direttamente il perdono ma il regno di Dio e i rapporti che si instaurano al suo interno. Lo sfondo è quello di una società profondamente ingiusta nella quale esiste un divario enorme tra pochi ricchissimi e una massa di poveri e diseredati. In questa società i ricchi si appropriano di enormi capitali, sottraendoli alle classi più povere, le quali sono sottoposte a vessazioni crudeli e devastanti. In questa prospettiva la parabola vuole dire che Dio non accetta questa situazione, che essa non è compatibile con il suo regno così come è annunziato da Gesù. Perciò il regno di Dio esige che i credenti si impegnino fin d’ora per una società più giusta e solidale. Nel contesto attuale in cui è inserita, la parabola assume però un significato più profondo: se vogliamo anticipare nell’oggi il regno di Dio dobbiamo perdonare chi ci offende come Dio perdona ognuno di noi. Dio non aspetta che noi perdoniamo chi ci offende per donarci il suo perdono, ma è il suo perdono che ci dà la forza di perdonare. Perdonando chi ci offende entriamo nella logica di Dio e così facendo anticipiamo la venuta del suo regno. Non è sufficiente perdonare chi ce lo chiede e a determinate condizioni. Infatti, senza un perdono incodizionato è impossibile creare quel tessuto di rapporti nuovi che caratterizzano un mondo giusto e solidale. Per chi si pone in questa lunghezza d’onda, cadono gli interessi personali ed emerge in primo piano la ricerca di un bene che riguarda tutto l’uomo e tutti gli uomini. Di conseguenza ciò che conta non è più l’offesa ricevuta ma la possibilità di coinvolgere anche colui che sbaglia in un processo globale di riconciliazione e di fraternità. È questo il vero significato e la radice del perdono.
Nella seconda lettura ci è data la chiave per capire la fonte del perdono cristiano: «Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore». Ciò che conta non è la nostra vita fisica, con tutto quello che comporta, ma l’essere con il Signore e condividere con lui una nuova vita, che è quella dell’amore. Questa partecipazione alla vita di Gesù non deve però essere intesa in modo individualistico e intimistico, ma come un impegno a lottare con lui e con tutti gli uomini e donne di buona volontà perché venga un mondo migliore.
Il perdono non è facile, specialmente quando si è oggetto di gravi ingiustizie, come per un genitore l’uccisione del proprio figlio. Siamo ancora molto lontani dal regno di Dio annunziato da Gesù. Ma è lì che dobbiamo tendere. La miglior difesa di noi stessi, dei nostri diritti, della nostra sicurezza non sono l’intervento della giustizia degli uomini o di Dio, ma l’impegno costante per realizzare un mondo migliore, sulla linea di quanto indicato dalle Scritture. Solo così il perdono diventa creativo, segna l’inizio di una vita nuova.
Certo è confortante pensare che Dio perdona i nostri peccati. Ma spesso non ci rendiamo conto di quanto questo pensiero rispecchi una visione di Dio molto umana. Un Dio che ci ha dato dei comandamenti, si offende se noi non li osserviamo e progetta adeguati castighi in questa o nell’altra vita. Ma poi, se ci pentiamo, è così misericordioso da cambiare idea, dandoci un’altra chance per uscirne illesi. Che strana idea! Mi ricorda molto il ruolo del padre nella famiglia patriarcale e più a monte quello di un sovrano medievale, a cui competeva il diritto di vita e di morte sui suoi cittadini. Come accettare un’idea di Dio così arcaica e meschina?!
Se Dio è Dio, non penso che abbia voglia di gestire personalmente le vicende di questo mondo, intervenendo, comandando, punendo i trasgressori o perdonando i penitenti. Effettivamente non possiamo dire molto sul mistero di Dio e del modo in cui egli interviene nelle vicende umane. In realtà il mondo è quello che è, con le sue leggi estremamente precise, che regolano il corso delle stelle come i rapporti tra esseri inanimati e viventi, e tra questi quella realtà ancora più misteriosa che è l’uomo. Ed è per vie ugualmente misteriose che il bene produce bene e il male produce male, prima di tutto per chi lo compie.
E allora Dio che cosa c’entra? A che cosa serve? Se parliamo del dio padrone a cui siamo abituati, certamente nulla. Non c’è, non esiste: è stato escogitato solo per torturare la gente. E Gesù, si è sbagliato anche lui? Mah, se leggiamo le sue parabole con occhio nuovo, magari ci accorgiamo che forse dicono qualcosa di diverso. E cioè che per Dio fare i conti con i suoi servi vuol dire essere con loro come una forza di bene che guida e illumina il corso della loro vita. Certo, se qualcuno sbaglia, non può pensare di farla franca, non perché Dio lo punisce ma perché il male gli ritorna indietro come un boomerang. Tuttavia anche in questo caso Dio non lo abbandona, semplicemente perché è Dio. Ma a questo tema Gesù riserva un’altra parabola, quella del figliol prodigo.
Il vero perdono non può nascere dal nulla ma scaturisce spontaneo da una scelta di vita orientata alla ricerca del bene comune. Perdonare infatti significa ricercare il bene anche della persona che ci ha inflitto un torto e far sì che anch’essa sia coinvolta in una ricerca di bene, l’unica che può dare un senso alla vita.
Davvero non è facile perdonare, anche se un perdono vero e profondo ci libererebbe dal rancoroso rimuginare sui torti che ci sono stati inflitti. Penso che spesso, tranne casi limite di torti estremi, sia ben più difficile perdonare davvero chi ci sta vicino che gli estranei. All’interno della famiglia o con gli amici le nostre aspettative di comprensione e affetto sono elevate e facilmente riteniamo di aver subito torti che ingigantiamo e sui quali continuiamo a rimuginare. Magari con la mente ci rendiamo conto di quanto il nostro atteggiamento sia sbagliato o esagerato, di quanto anche gli altri possano essere in credito nei nostri confronti o semplicemente di quanto il nostro rancore faccia male a noi stessi, ma perdonare nel profondo del cuore e ripartire è un’altra storia e non sempre ne siamo capaci.