Mese: Settembre 2020

Tempo Ordinario A – 26. Domenica

La volontà di Dio

Il brano di Ezechiele, riportato nella prima lettura, indica come tema della liturgia il compimento della volontà di Dio: Dio non tiene conto di gesti momentanei di giustizia, ma si aspetta una scelta di fondo, presa magari dopo un seguito di errori, che però resta salda fino alla fine. Dio non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva

La parabola dei due fratelli, riportata nel brano evangelico, si trova unicamente nel vangelo di Matteo. Con essa Gesù vuole mostrare come spesso l’apparenza inganna. Colui che aveva accettato di andare nella vigna del padre poi non ci va, mentre colui che aveva rifiutato cambia idea e obbedisce. A volte capita che chi si atteggia a difensore della religione è il primo a trasgredire la volontà di Dio, mentre chi apparentemente non la osserva in realtà è più in sintonia con essa. Secondo Gesù la volontà di Dio consiste nell’accogliere il suo regno che viene, impegnandosi per realizzare un mondo più giusto e solidale. Ancora una volta Gesù sfida una società nella quale vi erano da una parte i sacerdoti, gli anziani e i farisei che avevano nelle loro mani il potere politico ed economico e lo difendevano con la pratica di ritiesteriori, sacrifici e preghiere. Dall’altra vi era la maggior parte della popolazione, fatta di piccoli artigiani, braccianti, pescatori, pubblicani, prostitute che erano relegati ai margini della società ma spesso avevano una sincera ricerca di Dio e della sua volontà.Per questo Gesù dice ai sacerdoti e ai farisei che le prostitute e i peccatori li precederanno nel regno dei cieli. Per convalidare questa tesi Gesù porta il caso di Giovanni il Battista: coloro che essi consideravano come peccatori avevano dimostrato la loro buona volontà andando a ricevere il suo battesimo mentre essi non lo avevano accettato.

Nella seconda lettura Paolo sottolinea come la volontà di Dio consista in una vera unità di mente e di cuore fra tutti i membri della comunità, e propone l’esempio di dedizione incondizionata di Gesù. Egli non ha fatto pratiche rituali o opere di beneficienza, ma ha condiviso fino in fondo la sorte degli ultimi, accettando la morte per essere fedele a Dio e al regno che era venuto ad annunziare. La sua glorificazione significa che questa è la strada per ottenere una vita piena.

La volontà di Dio non consiste in precetti o comandi, codificati in una legge, che ci vengono imposti nelle varie circostanze della nostra vita. Ciò che Dio vuole è un progetto di salvezza, che consiste nella relizzazione di un mondo migliore, il suo regno. Perciò è Dio stesso che compie la sua volontà, come si dice nel Padre nostro, e invita tutti a operare con lui e come lui. In questo contesto, Gesù non ci impone nuove regole ma ci invita a fare la volontà di Dio seguendo il suo esempio. A volte vi sono persone molto attive in campo religioso ma che in realtà non fanno la volontà di Dio, mentre altre, che non fanno pratiche esterne, sono più impegnate nel compierla. Ma per tutti è necessaria una scelta radicale in funzione di un mondo migliore, quello per il quale Gesù ha dato la sua vita.

Tempo Ordinario A – 25. Domenica

Merito e gratuità

Il tema di questa liturgia è indicato nella prima lettura in cui è messa in luce l’immensa misericordia di Dio. Il testo, del Deutero-Isaia, è ambientato al tempo in cui si profila il ritorno dei giudei dall’esilio. Diversamente dai profeti precedenti, che condannavano i peccati del popolo e minacciavano il castigo, questo profeta invita gli esuli a cercare Dio e annunzia che egli è vicino a ciascun essere umano e non solo perdona largamente chi sbaglia, ma con la sua misericordia spinge tutti alla conversione. Dio dà a tutti la sua grazia, in modo gratuito. E sottolinea che Dio non la pensa come noi: gli esuli pensavano al castigo, Dio pensa al perdono e offre loro la possibilità di un nuovo inizio. In sintonia con questo tema il salmo responsoriale mette in luce non più il castigo di Dio ma la sua infinita misericordia.

Su questa linea, nel brano del vangelo viene riportata una parabola che rappresenta una sfida nei confronti della mentalità comune. Noi siamo portati ad esigere una giustizia in forza della quale ciascuno viene rimunerato in base a ciò che ha fatto, a quanto ha prodotto, alla sua intelligenza e alle sue capacità. È questo il modo di pensare degli operai della prima ora. Per costoro è inconcepibile che anche quelli che hanno lavorato solo un’ora ricevano la stessa paga riservata a loro. Anche noi la pensiamo così e ci scandalizziamo quando capita il contrario, cioè quando uno riceve di più o di meno rispetto a quanto si è meritato. Invece il padrone dà a tutti la stessa paga. Vuol dire che non tiene conto della quantità del lavoro fatto ma dei bisogni della persona, che non può sopravvivere senza quel misero denaro quotidiano. Se applichiamo questo principio ai nostri rapporti con Dio, dobbiamo mettere in crisi il nostro modo di pensare. Facilmente siamo portati a immaginare Dio come un giudice che dà a ciascuno in base a quanto si è meritato. Dio invece non guarda al merito delle persone: egli è buono con tutti, dà a tutti gratuitamente i suoi doni, non esige prestazioni di alcun tipo. E anche alla fine il suo dono è uguale per tutti, poiché a tutti dona se stesso. Ciò non significa che egli non si aspetti dall’uomo l’impegno per compiere la sua volontà; ma ognuno deve fare il bene non per avere qualcosa in cambio in questa o nell’altra vita, ma unicamente per amore.

Nella seconda lettura Paolo indica con chiarezza la via da percorrere. Per lui vivere è Cristo e morire un guadagno. Ma è disposto a restare ancora quaggiù per poter aiutare i suoi cristiani a vivere secondo l’insegnamento di Gesù. Non gli interessa farsi dei meriti o raggiungere quanto prima la beatitudine. Per lui quello che è importate è dedicarsi al bene dei fratelli. La sua più grande soddisfazione consiste nel seguire Gesù su questa strada, sapendo che solo così potrà raggiungere la beatitudine sia in questa come nell’altra vita. 

L’immagine comune di un Dio giudice, che premia i buoni e punisce i cattivi, è una goffa caricatura del Dio di Gesù. Per lui infatti Dio è bontà infinita, che distribuisce le sue grazie a ciascuno, a prescindere dai suoi meriti. Ciò significa che ciascuno è chiamato a impegnarsi nel bene non con lo scopo di farsi dei meriti, neppure per ottenere il paradiso, ma per puro amore: la gioia di fare il bene è già una ricompensa per chi si dedica al suo prossimo. Se applicato alla vita sociale e politica, questo messaggio ha una forte carica sovversiva. È intollerabile una società in cui i più fortunati ottengono grossi privilegi mentre i poveracci ricevono solo le briciole. La forbice che divide i ricchi dai poveri non solo non è evangelica ma neppure contribuisce al progresso economico di una nazione. A tutti è richiesto di impegnarsi fino in fondo per il bene comune ma a tutti deve essere data la possibilità di condurre una vita dignitosa e sicura. E questo non solo a chi è nato in un certo paese, ma anche a coloro che per situazioni a volte drammatiche devono lasciare la loro patria.