Tempo Ordinario A – 12. Domenica
La liturgia di questa domenica propone il tema della fiducia nella prova e nella persecuzione. Nella prima lettura Geremia denunzia le violenze che vengono compiute nei suoi confronti da parte di coloro che rifiutano il suo messaggio di pace e non violenza. Di fronte a costoro egli ha una reazione di rifiuto e chiede a Dio con insistenza di punirli severamente. Egli è convinto che essi sono anche nemici di Dio. Ma alla fine si affida a Dio, lasciando a lui di intervenire come meglio crede in suo favore.
Nel vangelo viene riportata una piccola raccolta di detti attribuiti a Gesù: egli invita anzitutto i discepoli a non avere paura di coloro che li perseguitano. Un giorno verrà alla luce tutto ciò che è nascosto e apparirà chiaramente chi è dalla parte del giusto. Essi perciò devono annunziare a tutti con coraggio quello che hanno sentito da lui. Inoltre Gesù raccomanda di non aver paura di coloro che possono uccidere il corpo ma non l’anima; piuttosto devono temere colui che ha il potere di far perire nella geènna sia l’anima che il corpo: questo riferimento al giudizio finale riflette la mentalità del tempo e si comprende unicamente come invito a trovare le proprie sicurezze non nei beni materiali e neppure nella propria incolumità fisica ma nei valori fondamentali della vita, di cui Dio è la fonte. Il detto successivo insiste sulla fiducia in Dio, il quale si prende cura anche dei semplici passeri; Dio conosce persino il numero di capelli che sono nel nostro capo; noi valiamo più di molti passeri. A questi detti l’evangelista ne aggiunge uno che contiene un ulteriore spunto di fiducia ma anche una minaccia: Gesù riconosce davanti al Padre coloro che lo riconoscono ma rinnega coloro che lo rinnegano: Gesù non rifiuta nessuno ma chi lo rinnega, quando lo ha adeguatamente conosciuto, rifiuta un progetto di vita da cui dipende la propria realizzazione umana e quindi rischia di condannarsi a una vita senza significato. La fiducia in Dio non ha nulla a che fare con il fatalismo ma implica una scelta al servizio di quei valori che soli possono dare un senso alla vita umana.
Secondo Paolo il peccato esiste anche là dove non c’è una legge che proibisca la violenza e l’ingiustizia. La legge non è necessaria per comprendere ciò che è bene e ciò che è male. Non sarà la legge a far cambiare mentalità alla gente ma la grazia di Dio di cui Gesù è un intermediario: egli infatti con il suo esempio è capace di mostrare come la ricerca del bene sia un ideale per il quale vale la pena di spendere la propria vita.
Impegnarsi per il regno di Dio, cioè per una società più giusta, non violenta, può costare caro. Spesso è forte la tentazione di ritirarsi, di cedere le armi. Solo una ferma convinzione e la fiducia in una Realtà superiore che governa il mondo possono dare il coraggio di far fronte alle situazioni più difficili, rinunziando alla violenza e all’odio. In questa luce anche i momenti di crisi e di insuccesso possono diventare opportunità che aprono strade nuove per raggiungere questo scopo.
È bello ricordare le parole rassicuranti di Gesù circa l’amore del Padre che non abbandona i suoi figli nel momento della prova. Ma come conciliarle con il suo grido sulla croce: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». Sì, perché spesso nella Bibbia la sofferenza è considerata come un castigo di Dio che abbandona il peccatore o come una sofferenza che egli manda al giusto per mettere alla prova la sua fedeltà: due ipotesi contro cui già il giusto Giobbe aveva protestato con forza. Dobbiamo pensare che Gesù sulla croce abbia fatto propria la protesta di Giobbe?
Ma forse proprio sulla croce Gesù ha voluto dirci qualcosa di veramente conturbante: no, quel dio che corre in aiuto ai suoi figli nel momento della prova non c’è, non esiste, è semplicemente una creazione umana. Dio non siede nell’alto dei cieli e non interviene a toglierci le castagna dal fuoco. Ci lascia a noi stessi, alle nostre difficoltà. In questo senso è un dio inutile, del quale dobbiamo liberarci più in fretta possibile se vogliamo raggiungere l’età adulta.
In realtà però Gesù non ha annunziato questo dio tappabuchi. Il centro del suo messaggio è stato un altro: «Il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo». Con il linguaggio proprio della sua cultura, Gesù ha voluto dire che Dio non è lassù in cielo come un sovrano seduto sul trono che dirige le vicende di questo mondo. Dio è un mistero che ci avvolge, che è dentro di noi e in coloro che ci sono vicini o lontani, che è profondamente coinvolto nelle vicende gioiose o tristi di questo mondo, sempre dalla parte dei poveri, degli emarginati e degli oppressi. Un Dio che ci indica una meta, un mondo migliore, che ci dice che questo mondo è possibile e che vale la pena impegnarsi per realizzarlo.
Un Dio inutile, certo, se ci aspettiamo che intervenga in nostro favore, ma estremamente utile quando dobbiamo fare i conti con la fragilità e il peccato non solo nostro ma anche di coloro che ci circondano. È allora che questo Dio si fa sentire dentro di noi, ci fa coraggio e ci aiuta ad avere quel distacco che è indispensabile per trovare la soluzione utile per il bene di tutti. Questo Dio non ci delude mai e con lui anche quella che può sembrare una sconfitta è la vittoria più grande.
Non riesco proprio ad avere fiducia in questo Dio ( un Padre buono?) o potenza vitale, chiamiamolo pure così, che permea tutto il cosmo e ci conduce al bene attraverso infinite sofferenze fisiche e morali. Accettare questo pensiero mi appare perfino irrispettoso, se così posso dire, verso chi soffre. Come possiamo dire ad un bambino che muore di tumore o anche ad un adulto la cui sofferenza si prolunga per anni: “Va bene così, perché è parte di un movimento cosmico volto al bene”? Poi, anch’io non voglio cedere alla disperazione del credere nel Nulla e mi rifugio nel Mistero, che forse, lo spero, ci si svelerà quando attraverseremo anche noi il confine tra la vita e la morte.
Per innumerevoli anni scienza e religione sono state antagoniste. Ora quella che si chiama “nuova cosmologia” lancia ponti alla religione (speriamo sappia afferrarli!) e ammiro molto il coraggio di tanti teologi che si impegnano in questa ricerca e penso che se la teologia tradizionale non affronta velocemente e con decisione il confronto dei dogmi cristiani con la cosmologia, rischia di allontanarsi sempre di più dalla realtà e di rendere sempre meno credibile quanto afferma. Il processo cosmico non credo ti porti a credere nel nulla, come giustamente Rita tu paventi … la differenza tra una descrizione offerta dalla scienza di una realtà aperta e in divenire non è più realistica e comprensibile di una concezione di verità universale e immutabile, programmata in tutti i dettagli da un punto remoto nel passato? certo i movimenti del cosmo e i suoi significati non ci sono ancora del tutto evidenti (in parte perché non abbiamo come altri, specialisti, gli strumenti per interpretarli). La realtà cosmologica è ancora tutto un grande libro da leggere e anche qui non manca il mistero. Per il problema del dolore mi sembra si trovi più facilmente una risposta nella realtà cosmologica che sappiamo avanzare in una linea evolutiva, con limiti da superare di volta in volta, e dove alla perfezione si arriverà solo alla fine del processo, che non nella religione dove non riusciamo a comprendere un Padre lo permetta.
E’ difficile aver fiducia in un Dio che può vendicarsi delle sue creature, che ha abbandonato per millenni l’umanità al peccato e alla morte, che può far perire il corpo e l’anima nella geenna. I testi biblici rispecchiano una cultura per noi ormai tramontata. Per fortuna possono essere interpretati diversamente. Per noi è importante immaginare un Dio che si esprime nella potenza vitale che permea tutto il cosmo, cioè nel suo Spirito, e lo guida e lo sorregge nel suo divenire verso un bene sempre più grande. Non è lì per condannare o premiare ma per far gustare a ogni creatura la bellezza e la gioia di impegnarsi per un mondo migliore, il suo regno. E’ questo il Dio che Gesù ha chiamato Padre. Un Dio che non toglie le sofferenze e le cadute, perché esse fanno parte di questo grande movimento cosmico, ma che aiuta a fare anche di esse un’opportunità per la ricerca di mete più avanzate.
Per me le pagine di questa liturgia, se non seguite dalla lettura del relativo approfondimento, non sono davvero motivo di fiducia, anzi.
Approfondimenti che richiedono tempo e attenzione per cogliere tutti quei dettagli che ci fanno cogliere il vero senso delle scritture.
Rivedere le parole di Geremia nel contesto di allora. Profeta “costretto” per così dire, dalla voce interiore di Dio che gli urgeva in cuore, a fare proclami apparentemente infausti per la nazione, mentre era proprio il suo contrario, voluto dai suoi avversari, quello che l’avrebbe distrutta, non riusciremmo comprendere il senso profondo di queste lamentazioni. Così pure la Lettera ai Romani, dove errori di traduzione e mancate precisazioni contestuali fanno una certa differenza, come nel Vangelo di Matteo dove cogliamo certi termini non siano forse le parole di Gesù, perché attinte da fonti diverse da quelle del primo vangelo di Marco, che ci prospettano un Gesù lontano, improntato alla cultura giudaica, e non quello che mi ha fatto conoscere il volto misericordioso del Padre.
Considerazioni che incidono sulla “ mancata” formazione di un vero “ Popolo di Dio” che si ritrova disorientato.
Rileggendo l’ articolo Antoine Duprez, (che avevo letto su rassegnastampa di fine settimana) ci si rende sempre più conto di quanto sia urgente una riforma.
Riforma che una certa parte della gerarchia ecclesiastica non vuole per il timore fondato, di perdere il potere acquisito, ma che non può sperare sopravvivere lungo.
Del resto il Vangelo si regge sulla Verità della parola a volte scomoda di Gesù. Una Parola che ci coinvolge profondamente: responsabilità. Una strada in salita, ardua da percorrere. La strada dell’evoluzione del nostro genere umano (?)quella della vera liberazione che si fa giorno per giorno, riprovando fino alla liberazione finale?.
Nel discorso religioso sono molto importanti i termini che si usano: se dici Dio o regno di Dio è facile cadere poi in un discorso antropomorfo e definire Dio non violento, misericordioso … oggettivarlo, mentre per noi deve rimanere un punto di domanda.
Diverso parlare di Realtà superiore, la terminologia stessa ne rispetta maggiormente il mistero. Pensare a una Realtà superiore ci facilita la comprensione di quanto la scienza oggi ci offre presentandoci una “storia cosmica”: in questa visione tutto si slega dal cielo e comincia ad avere una sua autonomia. Finalmente si afferma che l’universo e gli uomini non dipendono da autorità esterne: se c’è una pandemia non abbiamo più, in questa visione, un cielo da pregare perché la risolva. La pandemia è parte della fatica ascensionale verso la pienezza, tutta la realtà è fragile e deve evolvere rispondendo a quell’energia che la pervade … guidata da un’energia ancora più grande e determinante? all’interno dell’energia stessa, però, non sopra. Mi piacerebbe tanto conoscere di più la fisica, ma pare che oggi neppure questa sia sufficiente, occorre la meccanica quantistica perché descrive il mondo degli atomi e delle molecole con precisione impeccabile e produce infatti moltissime applicazioni come il laser e la risonanza magnetica. Pensare a queste applicazioni ci dà sicurezza, ma che si metta a trafficare in cielo … per molti di noi è un discorso ancora non accettabile.
Non è facile liberarsi dal paradigma in cui la Chiesa ci ha coinvolti per secoli, quello del “credere” e non quello del “pensare”, forse perché troppo pericoloso. Credere a quello che la Chiesa ha stabilito, come dettato ineludibile, in un catechismo di 3.000 norme e dimenticare invece che siamo vita in continuo processo di evoluzione. Processo la cui legge fondamentale è la sinergia, la solidarietà, la reciprocità, la cooperazione tra tutti gli esseri. Tutti e tutto (è la legge dell’Universo intero) cospirano affinché ogni essere e ogni ordine , per quanto debole, continuino a esistere e a co-evolvere. … C’è molto da capire e da studiare e ci vuole coraggio a spostarsi verso altre visioni (preferiamo arrovellarci intorno a quella simbolica!), ma il compito che ci attende oggi credo sia quello di costruire una nuova spiritualità più conforme alla nuova visione del Cosmo