Tempo di Quaresima A – 1. Domenica
La quaresima inizia con una riflessione sul tema della tentazione. Nella prima lettura si parla della creazione dei progenitori e della loro caduta. È un racconto mitologico, che riguarda non tanto l’esperienza di una improbabile coppia originale, quanto piuttosto quella di ciascuno di noi. I progenitori cedono alla tentazione di essere come Dio. È questa la grande tentazione dell’uomo, che si concretizza nel mettere se stesso al centro, pretendendo che tutto, persone e cose, ruotino intorno a lui.
Nel brano del vangelo si racconta la tentazione che Gesù ha dovuto affrontare all’inizio della sua vita pubblica. L’evangelista parla di una tentazione in tre momenti: trasformare le pietre in pane, buttarsi giù dal pinnacolo del tempio, adorare il diavolo per avere da lui il potere su tutti i regni del mondo. Anche qui non si tratta di una descrizione oggettiva dei fatti, ma di un racconto che esprime in modo simbolico la pressione che sarà esercitata su Gesù in tutto il suo ministero, per indurlo a capeggiare un movimento di rivolta armata contro i romani. Era questo ciò che la gente si aspettava dal Messia in quanto Figlio di Dio. Questa concezione del Messia si basava sulla ricerca del potere economico e politico nonché del consenso pubblico come mezzo per realizzare una società migliore. Gesù ha vinto le suggestioni del diavolo e ha puntato invece su una grande azione risanatrice, che partiva dal cuore della gente, pur sapendo che ciò avrebbe comportato, apparentemente, una sconfitta.
Nella seconda lettura, Paolo parla della nostra solidarietà con Adamo, l’uomo peccatore, e la sua sostituzione con la solidarietà con Cristo. Questa comporta per noi il superamento della tentazione di mettere il nostro io al primo posto. Ciò si realizza quando si comprende che non si può essere felici da soli e che un mondo migliore si basa sul rapporto con l’altro.
Le tentazioni di Gesù sono le stesse a cui sono andati incontro Israele e la Chiesa nella loro storia millenaria. Sono anche le stesse a cui è sottoposto ciascuno di noi. Purtroppo sia Israele che la Chiesa hanno spesso ceduto alla tentazione. Anche noi, nel nostro piccolo, cediamo facilmente alla suggestione del potere umano, in tutti i suoi aspetti. Non c’è bisogno di chiamare in causa Dio o il diavolo per spiegare la nostra inclinazione al male. La tentazione fa parte del nostro essere creature limitate e angosciate dalla paura. E così anche la caduta. Ma Dio è lì per indicarci la strada e per darci la forza di percorrerla.
Una morte per la vita
Se Gesù, accettando le (diaboliche) suggestioni dei suoi fan, si fosse messo a capo del movimento anti-romano, sarebbe andato a finire in croce. Come d’altronde gli è capitato quando ha scelto l’altra alternativa, quella di immergersi nella vita del popolo, privilegiando gli ultimi e coinvolgendoli nella ricerca di una libertà che viene dal cuore, non dalle armi. Ma così facendo ha dato la vita, non la morte, ha riscattato l’umanità dalla sua alienazione.
Nel grande mito delle origini, in cui si proietta agli inizi l’esperienza quotidiana di ogni essere umano, i progenitori hanno ceduto a quel desiderio di potenza che si serve anche della conoscenza, cioè della scienza e della tecnologia, per imporre il proprio dominio sugli altri. Conoscere è il privilegio degli umani, al quale però è posto un limite, simboleggiato nel frutto proibito: sapere sì, ma per un bene che riguarda tutti e non per l’interesse di pochi.
Valicare questo limite comporta l’esperienza della morte: una morte fisica inflitta agli altri a cui corrisponde la morte interiore di chi la infligge: la morte di chi ha perso la gioia di amare e di essere amato, la soddisfazione di combattere per un mondo migliore, a cui tutti possono partecipare come membri di una stessa famiglia. Piuttosto che subire questa morte, Gesù ha preferito dare la vita, divenendo così il capofila di un’umanità che faticosamente, lottando sempre contro la tentazione del potere, cammina verso una pienezza di vita che neppure la morte può impedire.
Facendo questa scelta, Gesù ha vinto il peccato. Sì, perché la radice del peccato consiste in quella frase che spesso si sente: «Così fan tutti». Caparbiamente, Gesù ha voluto dimostrare il contrario. Non è vero che sono tutti uguali. E se lui ha saputo essere diverso, vuol dire che anche per noi esiste questa possibilità: è un’ipotesi, ma forse un semplice sguardo all’intorno ci conferma che, in realtà, ci sono anche altri, più di quanti pensavamo, che hanno fatto la stessa scelta. E fra di loro potremmo trovarci anche noi, in buona compagnia: a patto che lasciamo al cuore l’ultima parola.
In un Italia a porte chiuse, come anche noia suo tempo abbiamo fatto ad altri, così ci dice mons. Dellpini:
“Questo inizio di Quaresima, così strano, senza messa, senza ceneri, senza prediche, questo è il momento favorevole: questo momento di allarme e di malumore, di strade quasi deserte e di attività rallentate proprio nella città frenetica, questo è il momento favorevole… per dire sì e per dire no… per essere uniti nella lotta contro il male. L’allarme dei medici, le decisioni delle autorità, le pressioni mediatiche si sono rivelate di straordinaria efficacia nel lottare per contenere la diffusione del virus.
E se noi fossimo tutti uniti, con tutte le forze della scienza, della amministrazione pubblica, della pressione mediatica per combattere la diffusione di ciò che rovina la vita di troppa gente?
Se noi fossimo così uniti nel contrastare le dipendenze, la diffusione della droga, dell’alcol, del bullismo forse cambieremmo il volto della società.
Ecco il momento favorevole per diventare saggi ed evitare lo sperpero. Se abbiamo tempo perché sono interrotte o ridotte le attività ordinarie, possiamo evitare lo sperpero: possiamo usare il tempo per fare del bene, per pregare, per studiare, pensare, dare una mano.
Se abbiamo parole, invece di parlare dell’unico argomento imposto in questo momento,
possiamo usarle per dire parole buone, per dire parole intelligenti, sagge, costruttive.”
La tentazione del potere è la più grande tentazione dell’uomo ed è la più grande tentazione che alberga anche in me. Il desiderio di potere è un sentimento molto sottile e sfuggente: ha molte facce, toni diversi di voce, sguardi particolari, desideri di possesso. E’ lunga e insidiosa la strada per liberarsi da questo atteggiamento individualistico, narcisista, a volte giudicante … è la strada verso la comprensione piena della relazione: ontologica, culturale, espressione della propria spiritualità.
Il desiderio di perseguire il potere non apre grandi spazi, anzi ci chiude in una situazione che si avvita su se stessa … e il potere può essere anche un potere inconsapevole come il “dimorare” nella propria religione sentendosi sicuri e protetti, più forti e più giusti degli altri … non ci accorgiamo così che anche il “servizio” può diventare potere e dominio, anche la preghiera può ridursi a ripiegamento narcisistico sulla nostra intimità. E’ un’ altra la strada cui siamo chiamati, così mi sembra di intuire; siamo chiamati a una “spiritualità della ricerca”; dobbiamo tendere a realizzare sempre più profondamente un’unità tra sacro e profano per immetterci sulla strada di Gesù in modo libero e creativo, non appoggiandoci a una religione dei riti e delle certezze, ma a una spiritualità che a queste certezze preferisce sostituire il rischio dell’esplorazione e dell’apertura.