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Tempo Ordinario B – 21. Domenica

Una difficile scelta di vita

La liturgia di questa domenica propone il tema delle difficili scelte che ognuno nella vita è chiamato a fare. Nella prima lettura si narra che Giosuè, prima di morire raduna tutto il popolo di Israele a Sichem, e chiede a esso di rinnovare l’alleanza con YHWH. L’alleanza era già stata conclusa ai piedi del monte Sinai, ma a essa avevano aderito gli israeliti di una precedente generazione. Ora coloro che, sotto la guida di Giosuè, sono entrati nella terra promessa devono far propria quella decisione. E soprattutto devono prendere coscienza del significato dell’alleanza. Infatti questa implica non semplicemente il culto di una particolare divinità, ma l’accettazione nella vita di un codice di comportamento, il decalogo, nel quale in primo piano sono enumerati i diritti del prossimo. Non basta andare avanti per inerzia, in forza di tradizioni inveterate. Ognuno deve decidere da che parte stare.

Al termine del discorso del pane di vita, Gesù si rende conto che tanti suoi discepoli si scandalizzano e si allontanano da lui, lamentandosi che il suo discorso era duro, non capivano che cosa volesse dire. Ma Gesù insiste: «E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dove era prima?». Con la sua morte in croce, in quanto atto supremo d’amore, Gesù ritorna al Padre e così dimostra di essere venuto da lui. Poi aggiunge: «È lo Spirito che fa vivere, la carne non serve a nulla». I discepoli avevano capito il discorso di Gesù solo in senso materiale, come se Gesù chiedesse di mangiare fisicamente la sua carne. Ma l’affermazione di Gesù si situava su un piano diverso, quello dello Spirito: il mangiare il suo corpo era un’immagine che indicava il rapporto con lui, mediante il quale egli trasmette il suo Spirito a chi crede nelle sue parole. Molti di coloro che lo seguivano non sanno entrare in questa ottica e perciò si allontanano da lui, come tante volte il popolo di Israele ha fatto con YHWH. Allora Gesù chiede ai Dodici se anche loro vogliono andarsene. Egli non vuole legare a sé i discepoli quasi per dovere. Non basta appartenere al gruppo dei Dodici per essere suoi discepoli, bisogna fare una scelta radicale. Chi vuole seguirlo deve rendersi conto che il suo messaggio ha come esigenza fondamentale il dono di sé espresso nell’immagine del pane di vita. È quello che Pietro riconosce dicendo: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna. Noi crediamo e sappiamo che tu sei il Santo di Dio».

Nella seconda lettura l’autore della lettera agli Efesini fa un’affermazione molto importante: gli sposi devono modellare il loro rapporto su quello che unisce Cristo alla sua comunità, la Chiesa. In altre parole egli applica agli sposi il principio fondamentale di una vera comunità cristiana, nella quali bisogna essere sottomessi gli uni agli altri: non succubi nei confronti dell’altro, ma partecipi di un unico ideale di vita. L’identificazione del marito con Cristo e della moglie con la Chiesa è secondaria, come anche il fatto che alla donna sia richiesto di essere sottomessa al marito e a questi di amare la moglie. Si tratta di stabilire un rapporto vicendevole in cui i due partner, sull’esempio di Cristo e con il suo aiuto, decidono di donare insieme la vita per i propri fratelli.

Ogni persona in certi momenti si trova a dover prendere decisioni importanti che determineranno tutto il seguito della sua vita: può essere il tipo di studi, la professione, il matrimonio, il sacerdozio, la vita religiosa, oppure l’impegno politico o il volontariato. Ma a monte ognuno deve rispondere ad alcune domande fondamentali: chi sono, chi voglio essere, qual è il mio progetto di vita? Si tratta di fare una scelta radicale, da cui dipendono poi tutte le altre. E’ questa la decisione di fronte alla quale ci pone il vangelo. Oggi ciò che importa non è tanto affermare l’importanza di strutture tradizionali quanto piuttosto aiutare le persone a fare delle scelte decisive e a esservi fedeli anche a costo di sacrifici e rinunce, magari creando strutture nuove a loro più congeniali. E’ questa la decisione che Gesù propone a chi desidera diventare suo discepolo.

Tempo Ordinario B – 19. Domenica

Il Maestro interiore

La liturgia di questa domenica propone il tema dell’esperienza di Dio. Al profeta Elia, che fugge perché la regina Gezabele lo vuole far uccidere, Dio gli indica la strada verso la sacra montagna, l’Oreb, dove si manifesterà a lui. Al tempo stesso gli dà un cibo che lo sostiene nel lungo cammino che dovrà percorrere. L’Oreb è un altro nome per indicare il monte Sinai ai piedi del quale Dio ha fatto con il popolo di Israele un’alleanza. Elia deve dunque risalire alle origini dell’esperienza religiosa del suo popolo. E’ un cammino interiore che deve fare da solo. Ma Dio gli è accanto e lo sostiene nei momenti di sconforto e di paura.

Nel brano del vangelo Gesù dice: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre mio». E soggiunge: «Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio». Poi sottolinea nuovamente: «Chiunque ha ascoltato il Padre viene a me». Il piano di Dio è dunque quello di condurre a sé tutta l’umanità. Perciò ha affidato al suo Figlio il compito di dare a tutti un insegnamento interiore che consiste nel saper ascoltare la voce dello Spirito. In altre parole egli conduce a Cristo quelli che lo cercano perché possano ottenere per mezzo suo quella istruzione interiore che è simboleggiata nella metafora del pane di vita. Gesù è il pane di vita in quanto è lui stesso la Parola che si dona e scava nel cuore degli uomini.

Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, viene proposto un nuovo modo di vivere che è frutto dell’esperienza interiore dello Spirito. Per il credente esiste il rischio di rattristare lo Spirito, mettendo al suo postro dottrine e regole di vita imposte dall’esterno. Lo scopo della vita cristiana è invece quello di fare un’esperienza interiore di Dio in modo tale da diventare suoi imitatori. Ciò significa imparare da Cristo, prendendo come punto di riferimento i suoi pensieri e le sue scelte.

Per noi cristiani c’è sempre il rischio di imporre dottrine e regole di vita prestabilite, presentandole come rivelazione di Dio, raccolte magari in prontuari (catechismi) da memorizzare. Ciò che importa invece è aiutare la persona a rientrare in se stessa e a scoprire in sé i valori a cui ispirarsi. E’ questo il compito che si è assunto Gesù e che ha trasmesso alla sua comunità.

Santissima Trinità B

L’unico vero Dio

Il tema delle letture di questa festa non è, come ci si potrebbe aspettare, il dogma della Trinità ma quello della manifestazione dell’unico Dio nella persona umana di Gesù. Nella prima lettura è riportato un brano del Deuteronomio che può essere considerato come la proclamazione dell’unicità di Dio. Non si tratta però di una concezione filosofica, astratta, ma dell’esperienza di Dio che gli israeliti, guidati dai profeti, hanno fatto a partire non solo dalla bellezza e dall’armonia del creato, ma anche e soprattutto dalla loro storia tribolata. La fede nell’unico Dio si è così tradotto nel progetto di costruire una vita sociale basata sulla giustizia e sulla solidarietà.

Nella lettura del vangelo Matteo racconta che Gesù, dopo la risurrezione, è apparso ai suoi discepoli su un alto monte e li ha inviati in tutto il mondo a insegnare e a fare nuovi discepoli. Il compito di guida alla scoperta di Dio, un tempo affidato ai profeti, era stato svolto in modo speciale dal loro Maestro, il cui insegnamento aveva trovato il suo pieno significato nella sua morte e risurrezione. Ora essi ricevono il compito di annunziare a tutto il mondo l’esperienza che avevano fatto a contatto con lui, perché a tutti fosse reso possibile l’incontro con Dio di cui egli era stato l’annunciatore. A Gesù viene attribuito anche l’ordine di conferire a coloro che avrebbero creduto in lui il battesimo, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Questo rito significa che a quanti aderiscono a Gesù è aperta la strada all’incontro con Dio. Il riferimento allo Spirito santo significa che questo incontro non è superficiale ma implica una profonda trasformazione interiore.

L’azione dello Spirito è illustrata nella seconda lettura. Essa consiste in una diversa percezione di Dio, visto non più come l’onnipotente a cui stare sottomessi ma come un Padre che ama i suoi figli. È mediante lo Spirito che il credente diventa partecipe del rapporto filiale che Gesù ha con Dio.

Fin dall’infanzia noi siamo stati abituati a considerare la Ss. Trinità come il culmine della nostra fede senza chiederci che cosa significhi per noi: era convinzione comune che si trattasse di un mistero che, come tale, non si può spiegare. Ma bisogna ricordare che la Trinità è pur sempre un’immagine con la quale uomini di tanto tempo fa hanno cercato di descrivere con categorie umane l’azione indescrivibile di Dio nel mondo. In realtà la Trinità significa che nell’esperienza umana di Gesù si è manifestato il Dio invisibile che si rapporta a noi come un Padre, cioè, fuori metafora, come colui che rappresenta i valori fondamentali nei quali troviamo il senso della nostra vita: e da questo rapporto sgorga in noi quella forza interiore che chiamiamo, sempre con una metafora, lo Spirito santo. Se uno fa questa esperienza sarà portato a condividerla con chiunque, senza pretese o pregiudizi.