Tag: risurrezione

Tempo Ordinario C – 10. Domenica

La vita oltre la morte

Le letture di questa domenica propongono il tema della vita, un bene prezioso sempre minacciato dalla morte. Nella prima lettura si racconta un fatto edificante attribuito al profeta Elia. Durante la carestia, provocata dai peccati del re Acab, il profeta si era recato nell’attuale Libano, a Sarepta, dove una vedova aveva rischiato la morte sua e di suo figlio per dargli l’ultimo boccone di cibo che le era rimasto. E così aveva ottenuto miracolosamente farina e olio sufficienti per sopravvivere. Ora il suo unico figlio è morto improvvisamente e la donna protesta contro Elia: la morte del figlio non sarà effetto di una maledizione che il profeta le ha tirato addosso in punizione di qualche suo peccato passato? Il profeta allora prega Dio e ottiene da lui la risurrezione del ragazzo.

Il fatto narrato nella prima lettura rappresenta il modello a cui si è ispirato Luca per narrare un fatto straordinario che Gesù avrebbe fatto in un piccolo villaggio chiamato Naim. Ma secondo Luca Gesù si comporta diversamente da Elia. Anzitutto non protesta nei confronti di Dio ma è preso da compassione di fronte al dolore della vedova e interviene di sua iniziativa. Inoltre Gesù tocca il defunto, senza paura per l’impurità che, secondo la legge mosaica, avrebbe contratto con questo gesto. Per lui è sufficiente una parola per fare il miracolo. Infine, con un gesto di grande delicatezza, prende per mano il bambino ritornato in vita e lo consegna alla madre. Non è escluso che il narratore volesse esaltare l’immenso potere di cui gode Gesù. Ma soprattutto vuole mostrare la sua capacità di condivisione nei confronti di un dolore tanto grande e della sua capacità di dare la vita al di là della morte, già qui, in questo mondo.

Nella seconda lettura è Paolo che racconta la sua vocazione. Egli perseguitava la Chiesa ma era un uomo retto e, quando ha incontrato Gesù, subito ha capito di avere una missione, quella di annunziare il vangelo a tutti, soprattutto ai non giudei. Il suo vangelo aveva per oggetto la vita, quella di Gesù risorto, primizia di un mondo nuovo, in cui la morte è vinta definitivamente.

La morte è un enigma umanamente incomprensibile, specialmente quando colpisce in tenera età. A volte la vita può diventare un peso insopportabile, da cui uno vorrebbe liberarsi. Le Scritture parlano di risurrezione di morti non solo alla fine dei tempi ma a volte già nel corso della storia. Si tratta di racconti edificanti che hanno uno scopo: annunziare l’importanza della vita. Ma non una vita qualunque, bensì una vita che abbia senso. La vita fisica non è un bene da difendere a ogni costo ma da donare, perché tutti abbiano quanto a loro compete come esseri umani, amati da Dio.

Tempo Ordinario B – 25. Domenica

I discepoli di Gesù e il potere

La liturgia di questa domenica riprende il tema dell’imminente morte e risurrezione di Gesù, con lo scopo però di sottolineare un aspetto specifico del ruolo assegnato ai discepoli: la rinunzia al potere. Nella prima lettura si mette in luce come chi vuole agire in sintonia con la sua fede deve rinunziare alla carriera e al successo, anzi deve mettere nel conto incomprensioni e persecuzioni.

Nel brano del vangelo si propone il testo in cui Gesù per la seconda volta preannunzia la sua morte e risurrezione. L’evangelista osserva che i discepoli, i quali lo accompagnavano nel suo cammino, non comprendevano quello che egli diceva. Non che non capissero il senso delle sue parole, ma non riuscivano a entrare nella logica della croce prospettata da Gesù. Il motivo di questa incomprensione viene indicato dall’ evangelista mediante l’aggiunta di un brano nel quale si dice che lungo la via i discepoli avevano discusso per stabilire chi di loro fosse il primo: l’ambizione che impedisce loro di capire il discorso di Gesù. Gesù quindi prende l’occasione per affermare che chi vuol essere primo deve diventare l’ultimo e il servitore di tutti: è proprio per aver fatto lui stesso questa scelta che si avvia verso la sua passione. Gesù afferma poi che chi accoglie un bambino accoglie lui. Per capire le parole di Gesù che preannunzia la sua sofferenza e la sua morte bisogna dunque rinunziare a ogni ricerca del potere e farsi come bambini nella semplicità del cuore.

Nel brano della sua lettera Giacomo contrappone il comportamento suggerito dalla sapienza che viene dall’alto a quello provocato dalle passioni e dai desideri umani. Mentre la sapienza porta alla giustizia, alla misericordia e alla pace, i desideri umani sfociano nei dissensi e nelle liti. È soprattutto il desiderio del potere che sconvolge non solo la vita sociale ma anche l’armonia della comunità cristiana.

Stiamo vivendo in un periodo di forti tensioni, nel quale emergono spesso interessi personali o di gruppo che condizionano la vita politica e sociale non solo nel nostro Paese ma anche in tutto il mondo. In questa situazione è più che mai necessario mettere al primo posto non la ricerca del consenso ma l’impegno disinteressato per il bene di tutti. In questa situazione il ruolo della comunità cristiana è quello di operare perché si attui una vera democrazia in cui tutti collaborino per il bene comune. Ma questo richiede che in essa si instauri una profonda unità di intenti che si basa non sull’esercizio del potere ma su un dialogo a cui tutti i suoi membri sono chiamati a partecipare su un piano di parità.

Tempo Ordinario B – 13. Domenica

Una vita piena di significato

La liturgia di questa domenica propone di riflettere sul significato che ha la vita umana nella prospettiva ineludibile della morte. Nella prima lettura l’autore afferma che Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Secondo lui la giustizia è immortale e chi la pratica gode il privilegio dell’incorruttibilità; la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo e ne fanno esperienza solo quelli che sono dalla sua parte. La vera morte non è dunque quella fisica ma quella che è causata dal peccato che è mancanza di amore. Ma per vincere il peccato e godere di una vita piena è necessario accettare la propria morte, non solo quella finale ma anche le piccole morti quotidiane che consistono nell’accettazione del proprio limite.

Nel brano del vangelo si racconta in stretto collegamento l’uno con l’altro due miracoli di Gesù: la guarigione di una donna che soffriva da 12 anni di perdite di sangue e la risurrezione di una bambina, anch’essa di 12 anni. La donna soffriva non solo per la sua malattia ma anche a causa dell’isolamento a cui essa la costringeva in quanto causa di impurità: nonostante fosse viva era praticamente morta. Guarendola, Gesù la riporta a una vita piena. Ciò che provoca questo cambiamento profondo è la fede della donna. Anche la bambina è riportata in vita in forza della fede dei suoi genitori. Ma nei due casi di che fede si tratta? Gesù non pensa certamente alla fiducia nella sua capacità di fare miracoli e tanto meno all’accettazione di particolari dottrine, ma a un atteggiamento del cuore per cui uno è aperto a Dio, alla vita, all’amore e quindi a tutti gli esseri umani: è questa la fede che Gesù si attende come risposta al suo annunzio che ha per oggetto la venuta imminente del regno di Dio. Essa ci salva perché ci guarisce dall’egoismo e ci mette in una sintonia profonda con quelle realtà superiori che danno un senso alla vita. 

La seconda lettura mostra invece come Cristo, invece di ricercare onori e gloria, abbia accettato la povertà e i limiti della natura umana, e quindi la morte in croce, mostrando così in che cosa consista la vera gloria. Questa povertà, frutto di solidarietà, è quella che ci ha arricchito perché ci ha fatto scoprire i veri valori della vita. 

In passato si considerava la vita in questo mondo come una semplice parentesi nella quale è importante rinunziare a tante cose in vista della beatitudine eterna del paradiso. Ora non è più così. Siamo diventati consapevoli che la vita è importante in se stessa, ma soltanto se ha senso. Questo senso si scopre solo se si accetta la propria morte riconoscendosi come creature limitate e bisognosa dell’Altro e degli altri e quindi capaci di donarsi in un atteggiamento di amore sincero. Chi non accetta la propria inevitabile fine precipita nell’egoismo e nella disperazione.