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No al proselitismo

Ho letto con piacere quanto scrive Severino Dianich nell’articolo “No al proselitismo“: “L’evangelizzazione, infatti, ha in comune con il proselitismo il desiderio che l’altro accolga la proposta di condividere la fede in Cristo. Ma la vera evangelizzazione rovescia l’intento dal quale è mosso il proselitismo. Proselitismo è diffondere un’idea per potenziare il proprio gruppo e sé stessi. È ovvio che lo faccia un partito politico in campagna elettorale, ma alla Chiesa non è permesso di farlo. Insorgerebbe l’apostolo Paolo, esibendo la sua testimonianza: «Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore» (2Cor 4,5). O l’evangelizzazione è offerta di un dono che si è ricevuto, nella totale gratuità del dono, o evangelizzazione non è. Per evangelizzare è necessario lasciare la Chiesa in secondo piano, perché lo spazio del discorso sia occupato totalmente da Gesù: solus Christus. Solo Gesù è il salvatore, solo Gesù è il Signore, solo il Figlio di Dio è degno che si creda in lui, cioè che si dedichi a lui la propria vita.”

Mi resta però un grosso problema: il Gesù che noi presentiamo, dopo 2000 anni di cristianesimo, è in gran parte una figura “confessionale”, rivestita di tutta una serie di incrostazioni che provengono da una cultura in cui la Chiesa era predominante. Oggi le ricerche sul “Gesù storico” mostrano chiaramente come non tutti gli sviluppi successivi siano stati omegenei con l’annunzio fatto da Gesù. Ne risulta che l’evangelizzazione diventa automaticamente proselitismo. A meno di affrontare onestamente, come individui e come Chiesa, un vero processo di riforma intellettuale e di fede tale da presentare Gesù con modalità che vadano alle radici del movimento cristiano e al tempo stesso una sequela che vada al di là dell’appartenenza all Chiesa. Ora temo proprio che su questo, salvo lodevoli eccezioni, non si sia ancora mosso il primo passo.