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Tempo Ordinario B – 8. Domenica

Digiuno e simbolismo sponsale

Il tema di questa liturgia è indicato nella prima lettura, nella quale il profeta Osea per la prima volta esprime il rapporto di Israele con il suo Dio con l’immagine del matrimonio. Per questo profeta Dio è come uno sposo tradito che va in cerca della sposa infedele, l’accoglie e «parla al suo cuore». Egli rinnova con lei il suo rapporto sponsale e le dà i doni di nozze: giustizia e diritto, benevolenza e amore, fedeltà e conoscenza di Dio. Sono questi i valori che fondano non solo il rapporto di un popolo con Dio ma anche i rapporti tra i suoi membri.

 Nel brano del vangelo viene riportata una controversia di Gesù con i farisei. Il tema è quello del digiuno. Ai farisei che rimproverano i suoi discepoli perché non praticano il digiuno, egli risponde che gli invitati a nozze non possono digiunare quando lo sposo è con loro. Gesù presenta la venuta del regno di Dio mediante il simbolismo delle nozze tra Dio e il suo popolo. D’ora in poi il rapporto con Dio non si baserà più sulla pratica di una legge, con le sue innumerevoli prescrizioni, ma sull’adesione al Regno annunziato da Gesù. Per questo i discepoli non devono più digiunare, ma partecipare con gioia a questo evento. Secondo l’evangelista, Gesù aggiunge che un giorno lo sposo sarà loro tolto, e allora anch’essi dovranno digiunare. Secondo questo detto lo sposo non è più Dio ma lo stesso Gesù che si unisce alla sua Chiesa. Secondo i primi cristiani il regno è stato solo inaugurato, egli è tornato al Padre ma un giorno verrà nella gloria per radunare tutta l’umanità. Nel frattempo il Regno dovrà radicarsi in questo mondo. Ciò implica una svolta decisiva che non ammette compromessi: il vino nuovo del vangelo non deve essere messo nei vecchi otri delle pratiche rituali dei farisei.

A coloro che contestano il suo titolo di apostolo, Paolo risponde che la prova più evidente del suo ruolo è la comunità stessa, da lui fondata, che tutti possono vedere. Essa è come una lettera che Dio ha scritto nei cuori dei corinzi per mezzo di Cristo, del quale Paolo è un semplice ministro. Anche per Paolo, come per Osea, il rapporto tra Dio e la comunità deve radicarsi nel cuore dei suoi membri.

Il regno di Dio è un modello di società basata non su leggi che impongono comportamenti socialmente corretti, ma su rapporti nuovi di solidarietà e di fraternità che scaturiscono dal cuore delle persone. Umanamente parlando, questo modello di società è irrealizzabile perché nell’uomo emerge continuamente la tendenza a prevaricare e a sopraffare l’altro. Per questo il il regno di Dio è una meta a cui si può tendere solo in forza di un dono ricevuto dall’Alto, mediante lo Spirito che Gesù ha effuso sui credenti. Se è vero che il regno di Dio non si potrà realizzare pienamente nella storia umana, resta aperta la possibilità di anticiparne i frutti all’interno di una comunità fondata sulla fede.

Tempo Ordinario B – 22. Domenica

La sapienza del cuore

La liturgia di questa domenica mette in luce l’esigenza di un rapporto con Dio che parte dal cuore e non dall’esigenza di compiere particolari riti o osservanze esterne. Nella prima lettura, ripresa dal Deuteronomio, si fa consistere la sapienza del popolo di Israele nel fatto di avere vicino a sé il vero Dio e di conoscere la sua legge. Questa nel Deuteronomio abbraccia tante prescrizioni che sono chiaramente di origine umana; ma subito dopo, nello stesso libro, si afferma che alla base di tutta la legge c’è il Decalogo, che a sua volta viene riassunto nel comandamento che prescrive di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Quindi nessun precetto è valido se la sua pratica non è al servizio dell’amore di Dio che esige la ricerca della giustizia e della solidarietà nei confronti di tutti.

Se questo è l’insegnamento del Deuteronomio, è chiaro che non era gradito a Dio il comportamento degli scribi e dei farisei: essi infatti davano importanza alla pratica delle singole prescrizioni, a prescindere dagli effetti che esse avevano nei rapporti interpersonali. Per Gesù invece la volontà di Dio consiste esclusivamente nell’esigenza di impegnarsi perché ogni persona umana abbia ciò che le compete: perciò la vera impurità è quella che viene dal cuore, non dalla trasgressione di norme che riguardano solo l’esterno della persona.

Secondo la lettera di Giacomo, da cui è ripresa la seconda lettura, la legge di Dio consiste in una parola seminata nel cuore dei credenti che deve trasformare prima di tutto le loro disposizioni interiori. I gesti esterni hanno valore solo nella misura in cui sono posti al servizio del rapporto con l’altro. La vera religione infatti consiste nel visitare le vedove e gli orfani.

Anche noi siamo spesso condizionati dalla mentalità farisaica, in base alla quale si ritiene che la fede in Dio consista nel compimento di riti e nell’adesione a dottrine che sono di origine umana, senza prestare attenzione a quello che è il loro vero scopo. Ciò che Dio si attende da noi è un atteggiamento del cuore che si manifesta nella solidarietà verso qualunque categorie di bisognosi: i poveri, i senza tetto, i rom e in modo speciale oggi i migranti che bussano alla nostra porta alla ricerca di un futuro migliore per sé e per i propri cari. E in questo dobbiamo lasciarci guidare dalla sapienza del cuore, cioè da una coscienza formata alla luce del Vangelo.