Tag: chiesa

Le donne e il futuro della Chiesa

Lo scorso 28 luglio è morto all’età di 104 anni il teologo francese Joseph Moingt. Voglio ricordarlo riportando un lucido articolo intitolato Le donne e il futuro della Chiesa. In sintesi p. Moing afferma che solo aprendosi a una piena partecipazione delle donne, su un piano di parità, la Chiesa può far fronte all’inesorabile declino a cui sta andando incontro. Non posso far altro che condividere quanto Moingt dice. Solo ho paura che sia troppo tardi. Man mano che passano gli anni mi appare sempre più chiaro il senso delle parole di Gesù: “Vino nuovo in otri nuovi”. Oggi si richiederebbe un cambio di marcia che forse era possibile cinquant’anni fa, quando sulla scia del Concilio Vaticano II si prospettava un vero cambiamento nella Chiesa. Allora le persone disponibili c’erano, si poteva affrontare la sfida dei tempi. Oggi è diverso. Non perché l’opposizione di chi detiene gli otri vecchi si è fatta più aggressiva e intransigente, ma perché i migliori se ne sono andati ormai da tempo. Sì, è vero, bisogna aver fiducia nello Spirito Santo, ma non sappiamo dove spira. E forse sta preparando un nuovo inizio, con otri veramente nuovi.

Tempo di Pasqua A – 2. Domenica

La comunità cristiana

La prima lettura ci invita in questa seconda domenica di Pasqua a riflettere sulla vita comunitaria così come è stata proposta da Gesù e vissuta dai primi cristiani. Per costoro la fede in Gesù significava veramente una scelta di vita alternativa. Ne parla Luca nel brano degli Atti degli apostoli: «Avevano ogni cosa in comune». In un mondo in cui ciascuno difende a oltranza il proprio orticello, saper condividere rappresenta una vera rivoluzione. E non si tratta solo della condivisione dei beni materiali. Sarebbe troppo poco. Anzitutto devono essere condivisi i pensieri, i progetti, i sogni, la ricerca di un mondo migliore. 

Nel brano del vangelo Gesù parla di pace e di perdono dei peccati. Solitamente si interpreta questo messaggio in chiave individualista, come qualcosa che riguarda noi cristiani e il nostro bisogno di essere perdonati, magari per superare i nostri sensi di colpa. Il vangelo invece considera il perdono come un grande progetto di riconciliazione, con Dio naturalmente ma al tempo stesso tra persone che si incontrano e formano insieme una comunità di fratelli. Questa necessità viene oggi avvertita in modo sempre più chiaro: le guerre devono cessare e l’umanità deve lottare in modo solidale contro sfruttamento, fame, malattie. Ma per fare questo bisogna credere che Gesù è vivo e condividere con lui la fede in un mondo migliore. È significativa la vicenda di Tommaso. Un discepolo che aveva creduto in Gesù e lo aveva amato con grande trasporto. Ma quando Gesù appare ai discepoli, Tommaso non è con loro e non è disposto a credere nella sua risurrezione se non ha la possibilità di vederlo e di toccarlo. Gesù lo accontenta, ma lo esorta a non essere incredulo ma credente. Sì, tocca pure, sembra dirgli, ma guarda che la fede è un’altra cosa. E Tommaso rinunzia a toccare le ferite di Gesù e reagisce con un vero atto di fede: «Mio Signore e mio Dio!». Così è ritornato a far parte del gruppo dei primi testimoni. Ma Gesù soggiunge: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto». Per credere non c’è bisogno di vedere un morto risuscitato. Bisogna saper sognare… e fare esperienza di una comunità in cui quel sogno comincia ad avverarsi.

Su questa linea nella seconda lettura l’autore, che si presenta come Pietro, rivolgendosi ai destinatari della sua lettera, dice riguardo a Gesù: «Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui». Si tratta dunque di cristiani che non hanno conosciuto direttamente Gesù, né prima né dopo la sua morte e risurrezione. Ma credono in lui e formano una comunità in cui ciò che sperano è già anticipato.

La risurrezione di Gesù non è un fatto strepitoso che rivela la natura trascendente di Gesù ma un mistero nel quale si crede nella misura in cui si fa l’esperienza di rapporti nuovi fra le persone e ci si impegna insieme per un mondo migliore.

Tempo ordinario C – 24. Domenica

La misericordia di Dio

La prima lettura presenta un Dio adirato e vendicativo, che vorrebbe distruggere il popolo perché ha adorato un vitello d’oro; egli si placa solo in seguito all’intercessione di Mosè che gli spiega tutti i motivi per cui deve perdonare il popolo peccatore. È un racconto che sa molto di mitologia in quanto descrive il «peccato originale» di Israele e le sue conseguenze: lo scopo è, da una parte, quello di affermare il rapporto indissolubile che lega Dio al popolo e, dall’altro, di mettere il popolo davanti alla responsabilità che esso comporta. Dio non distrugge il popolo, ma riserva ai peccatori una terribile punizione. Questa immagine di un Dio che si lega a un popolo, lo perdona e poi lo castiga, è piuttosto inquietante. A Dio viene attribuito quello che era il comportamento di un grande re dell’antichità, magnanimo e generoso, ma a cui bisognava stare sottomessi a scanso di terribili conseguenze. È questa la religione di Mosè.

Nelle due parabole del vangelo (omettiamo quella del figliol prodigo che si legge già in quaresima) non si parla più di peccato, di castigo e di misericordia. Il pastore che ha perduto una pecora e la donna che ha smarrito la moneta fanno ciò che farebbe ciascuno di noi: chiunque non si rassegna facilmente a perdere una cosa che gli è cara, anche se non di grande valore e si rallegra quando la ritrova. Il paradosso appare nella prima parabola, in quanto il pastore lascia nel deserto le altre novantanove, con il rischio che, per recuperarne una, perda tutte le altre. Il significato è chiaro: la misericordia di Dio si riversa non sul popolo o sulla massa ma su ciascuno in modo personale, a prescindere dai suoi meriti e dal suo stato sociale. È questa la religione di Gesù. Luca però sottolinea che le due parabole sono state pronunziate da Gesù perché gli scribi e i farisei lo accusavano di accogliere i peccatori e di mangiare con loro. I cosiddetti peccatori non erano delinquenti ma semplicemente persone che non si attenevano alla legge mosaica. Ma ascoltavano Gesù e quindi, pur con tutti i loro limiti, erano alla ricerca della verità. Secondo Luca dunque Gesù vuole sottolineare che Dio non si accontenta di persone che si adattano a esercitare gesti rituali o ad accettare formule precostituite, ma gradisce coloro che, pur essendosi allontanati dalla pratica religiosa, vogliono capire il senso della vita e il rapporto con l’Assoluto.

Nella seconda lettura, secondo l’autore di questo testo, Paolo dichiara di essere stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento, ma di avere ottenuto misericordia perché agiva per ignoranza, lontano dalla fede. Egli è presentato così come il modello del peccatore pentito che è diventato, per grazia di Dio, un apostolo. Ma in realtà Paolo non era un peccatore ma un giudeo devoto, preoccupato delle sue pratiche religiose, che, dopo aver incontrato Gesù, ha capito che Dio vuole non un’obbedienza formale alla legge ma il cuore delle persone e si è sentito chiamato ad annunziare questa buona notizia in tutto il mondo.

La religione degli scribi e dei farisei è ancora viva nel profondo del nostro cuore e determina a volte giudizi severi nei confronti di chi sbaglia. Che cosa comporta per noi accogliere la religione di Gesù?