Categoria: Tempo ordinario A

Tempo Ordinario A – 26. Domenica

La volontà di Dio

Il brano di Ezechiele, riportato nella prima lettura, indica come tema della liturgia il compimento della volontà di Dio: Dio non tiene conto di gesti momentanei di giustizia, ma si aspetta una scelta di fondo, presa magari dopo un seguito di errori, che però resta salda fino alla fine. Dio non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva

La parabola dei due fratelli, riportata nel brano evangelico, si trova unicamente nel vangelo di Matteo. Con essa Gesù vuole mostrare come spesso l’apparenza inganna. Colui che aveva accettato di andare nella vigna del padre poi non ci va, mentre colui che aveva rifiutato cambia idea e obbedisce. A volte capita che chi si atteggia a difensore della religione è il primo a trasgredire la volontà di Dio, mentre chi apparentemente non la osserva in realtà è più in sintonia con essa. Secondo Gesù la volontà di Dio consiste nell’accogliere il suo regno che viene, impegnandosi per realizzare un mondo più giusto e solidale. Ancora una volta Gesù sfida una società nella quale vi erano da una parte i sacerdoti, gli anziani e i farisei che avevano nelle loro mani il potere politico ed economico e lo difendevano con la pratica di ritiesteriori, sacrifici e preghiere. Dall’altra vi era la maggior parte della popolazione, fatta di piccoli artigiani, braccianti, pescatori, pubblicani, prostitute che erano relegati ai margini della società ma spesso avevano una sincera ricerca di Dio e della sua volontà.Per questo Gesù dice ai sacerdoti e ai farisei che le prostitute e i peccatori li precederanno nel regno dei cieli. Per convalidare questa tesi Gesù porta il caso di Giovanni il Battista: coloro che essi consideravano come peccatori avevano dimostrato la loro buona volontà andando a ricevere il suo battesimo mentre essi non lo avevano accettato.

Nella seconda lettura Paolo sottolinea come la volontà di Dio consista in una vera unità di mente e di cuore fra tutti i membri della comunità, e propone l’esempio di dedizione incondizionata di Gesù. Egli non ha fatto pratiche rituali o opere di beneficienza, ma ha condiviso fino in fondo la sorte degli ultimi, accettando la morte per essere fedele a Dio e al regno che era venuto ad annunziare. La sua glorificazione significa che questa è la strada per ottenere una vita piena.

La volontà di Dio non consiste in precetti o comandi, codificati in una legge, che ci vengono imposti nelle varie circostanze della nostra vita. Ciò che Dio vuole è un progetto di salvezza, che consiste nella relizzazione di un mondo migliore, il suo regno. Perciò è Dio stesso che compie la sua volontà, come si dice nel Padre nostro, e invita tutti a operare con lui e come lui. In questo contesto, Gesù non ci impone nuove regole ma ci invita a fare la volontà di Dio seguendo il suo esempio. A volte vi sono persone molto attive in campo religioso ma che in realtà non fanno la volontà di Dio, mentre altre, che non fanno pratiche esterne, sono più impegnate nel compierla. Ma per tutti è necessaria una scelta radicale in funzione di un mondo migliore, quello per il quale Gesù ha dato la sua vita.

Tempo Ordinario A – 25. Domenica

Merito e gratuità

Il tema di questa liturgia è indicato nella prima lettura in cui è messa in luce l’immensa misericordia di Dio. Il testo, del Deutero-Isaia, è ambientato al tempo in cui si profila il ritorno dei giudei dall’esilio. Diversamente dai profeti precedenti, che condannavano i peccati del popolo e minacciavano il castigo, questo profeta invita gli esuli a cercare Dio e annunzia che egli è vicino a ciascun essere umano e non solo perdona largamente chi sbaglia, ma con la sua misericordia spinge tutti alla conversione. Dio dà a tutti la sua grazia, in modo gratuito. E sottolinea che Dio non la pensa come noi: gli esuli pensavano al castigo, Dio pensa al perdono e offre loro la possibilità di un nuovo inizio. In sintonia con questo tema il salmo responsoriale mette in luce non più il castigo di Dio ma la sua infinita misericordia.

Su questa linea, nel brano del vangelo viene riportata una parabola che rappresenta una sfida nei confronti della mentalità comune. Noi siamo portati ad esigere una giustizia in forza della quale ciascuno viene rimunerato in base a ciò che ha fatto, a quanto ha prodotto, alla sua intelligenza e alle sue capacità. È questo il modo di pensare degli operai della prima ora. Per costoro è inconcepibile che anche quelli che hanno lavorato solo un’ora ricevano la stessa paga riservata a loro. Anche noi la pensiamo così e ci scandalizziamo quando capita il contrario, cioè quando uno riceve di più o di meno rispetto a quanto si è meritato. Invece il padrone dà a tutti la stessa paga. Vuol dire che non tiene conto della quantità del lavoro fatto ma dei bisogni della persona, che non può sopravvivere senza quel misero denaro quotidiano. Se applichiamo questo principio ai nostri rapporti con Dio, dobbiamo mettere in crisi il nostro modo di pensare. Facilmente siamo portati a immaginare Dio come un giudice che dà a ciascuno in base a quanto si è meritato. Dio invece non guarda al merito delle persone: egli è buono con tutti, dà a tutti gratuitamente i suoi doni, non esige prestazioni di alcun tipo. E anche alla fine il suo dono è uguale per tutti, poiché a tutti dona se stesso. Ciò non significa che egli non si aspetti dall’uomo l’impegno per compiere la sua volontà; ma ognuno deve fare il bene non per avere qualcosa in cambio in questa o nell’altra vita, ma unicamente per amore.

Nella seconda lettura Paolo indica con chiarezza la via da percorrere. Per lui vivere è Cristo e morire un guadagno. Ma è disposto a restare ancora quaggiù per poter aiutare i suoi cristiani a vivere secondo l’insegnamento di Gesù. Non gli interessa farsi dei meriti o raggiungere quanto prima la beatitudine. Per lui quello che è importate è dedicarsi al bene dei fratelli. La sua più grande soddisfazione consiste nel seguire Gesù su questa strada, sapendo che solo così potrà raggiungere la beatitudine sia in questa come nell’altra vita. 

L’immagine comune di un Dio giudice, che premia i buoni e punisce i cattivi, è una goffa caricatura del Dio di Gesù. Per lui infatti Dio è bontà infinita, che distribuisce le sue grazie a ciascuno, a prescindere dai suoi meriti. Ciò significa che ciascuno è chiamato a impegnarsi nel bene non con lo scopo di farsi dei meriti, neppure per ottenere il paradiso, ma per puro amore: la gioia di fare il bene è già una ricompensa per chi si dedica al suo prossimo. Se applicato alla vita sociale e politica, questo messaggio ha una forte carica sovversiva. È intollerabile una società in cui i più fortunati ottengono grossi privilegi mentre i poveracci ricevono solo le briciole. La forbice che divide i ricchi dai poveri non solo non è evangelica ma neppure contribuisce al progresso economico di una nazione. A tutti è richiesto di impegnarsi fino in fondo per il bene comune ma a tutti deve essere data la possibilità di condurre una vita dignitosa e sicura. E questo non solo a chi è nato in un certo paese, ma anche a coloro che per situazioni a volte drammatiche devono lasciare la loro patria. 

Tempo Ordinario A – 24. Domenica

Un perdono creativo

Il tema di questa liturgia è indicato dalla prima lettura. In essa si richiama il fatto che Dio vuole il perdono e non esaudisce coloro che invece mantengono il rancore e praticano l’odio. L’obbedienza a Dio si manifesta soprattutto nel perdono. È questa l’esigenza fondamentale dell’alleanza tra Dio e Israele e quindi di qualsiasi religione. Sembra però che il perdono di Dio sia subordinato a quello dell’uomo: Dio perdona a condizione che l’uomo per primo sia disposto a perdonare. Il salmo responsoriale mette in luce invece la misericordia di Dio che non ammette condizioni.

Il tema del perdono viene ripreso nel brano del vangelo in cui è riportata la parabola del servo spietato. Questa parabola era forse originariamente autonoma e Matteo ne ha fatto un’illustrazione del principio secondo cui bisogna perdonare settantasette volte al giorno, cioè sempre. Presa in sé, la parabola non riguarda però direttamente il perdono ma il regno di Dio e i rapporti che si instaurano al suo interno. Lo sfondo è quello di una società profondamente ingiusta nella quale esiste un divario enorme tra pochi ricchissimi e una massa di poveri e diseredati. In questa società i ricchi si appropriano di enormi capitali, sottraendoli alle classi più povere, le quali sono sottoposte a vessazioni crudeli e devastanti. In questa prospettiva la parabola vuole dire che Dio non accetta questa situazione, che essa non è compatibile con il suo regno così come è annunziato da Gesù. Perciò il regno di Dio esige che i credenti si impegnino fin d’ora per una società più giusta e solidale. Nel contesto attuale in cui è inserita, la parabola assume però un significato più profondo: se vogliamo anticipare nell’oggi il regno di Dio dobbiamo perdonare chi ci offende come Dio perdona ognuno di noi. Dio non aspetta che noi perdoniamo chi ci offende per donarci il suo perdono, ma è il suo perdono che ci dà la forza di perdonare. Perdonando chi ci offende entriamo nella logica di Dio e così facendo anticipiamo la venuta del suo regno. Non è sufficiente perdonare chi ce lo chiede e a determinate condizioni. Infatti, senza un perdono incodizionato è impossibile creare quel tessuto di rapporti nuovi che caratterizzano un mondo giusto e solidale. Per chi si pone in questa lunghezza d’onda, cadono gli interessi personali ed emerge in primo piano la ricerca di un bene che riguarda tutto l’uomo e tutti gli uomini. Di conseguenza ciò che conta non è più l’offesa ricevuta ma la possibilità di coinvolgere anche colui che sbaglia in un processo globale di riconciliazione e di fraternità. È questo il vero significato e la radice del perdono.

Nella seconda lettura ci è data la chiave per capire la fonte del perdono cristiano: «Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore». Ciò che conta non è la nostra vita fisica, con tutto quello che comporta, ma l’essere con il Signore e condividere con lui una nuova vita, che è quella dell’amore. Questa partecipazione alla vita di Gesù non deve però essere intesa in modo individualistico e intimistico, ma come un impegno a lottare con lui e con tutti gli uomini e donne di buona volontà perché venga un mondo migliore.

Il perdono non è facile, specialmente quando si è oggetto di gravi ingiustizie, come per un genitore l’uccisione del proprio figlio. Siamo ancora molto lontani dal regno di Dio annunziato da Gesù. Ma è lì che dobbiamo tendere. La miglior difesa di noi stessi, dei nostri diritti, della nostra sicurezza non sono l’intervento della giustizia degli uomini o di Dio, ma l’impegno costante per realizzare un mondo migliore, sulla linea di quanto indicato dalle Scritture. Solo così il perdono diventa creativo, segna l’inizio di una vita nuova.