Tempo Ordinario B – 23. Domenica
In questa domenica la liturgia propone alla riflessione il tema del dialogo. Nella prima lettura si parla di sordi che odono e di muti che gridano di gioia. Questo miracolo, insieme ad altre guarigioni, è un’immagine per indicare il rinnovamento interiore dei giudei deportati in Babilonia che affrontano nel deserto l’arduo cammino del ritorno nella loro terra. Ciò è possibile perché hanno ripreso il dialogo con il loro Dio, fatto di ascolto e di preghiera, e hanno cominciato a parlare fra loro in vista di un progetto comune.
Nel brano del vangelo si narra la guarigione da parte di Gesù di un sordomuto. Questa guarigione indica simbolicamente l’attuazione della salvezza. È salvo chi è capace di ascoltare e di comunicare perché è solo mediante la comunicazione che si stabiliscono rapporti interpersonali profondi. Dio parla agli israeliti ed essi ascoltano e danno il loro assenso. Anche Gesù parla e i discepoli interagiscono con lui e fra di loro. Da questo dialogo scaturisce l’amore e la solidarietà vicendevole. La comunicazione è la base della comunità, nella quale l’essere umano trova la sua realizzazione più piena. Senza dialogo non c’è comunità. Certo la comunicazione può avvenire anche in modi non verbali, come i gesti, i segni, i riti, ma è solo mediante la parola che gli esseri umani comunicano pienamente, si relazionano gli uni agli altri, si scambiano sentimenti, progetti, idee. Bisogna inoltre osservare che il miracolo narrato nel brano evangelico ha avuto luogo in un territorio straniero, quello della Decapoli. Ciò significa che la salvezza portata da Gesù è offerta non solo agli israeliti, ma a tutta l’umanità.
Nel brano della lettera attribuita a Giacomo, l’autore stigmatizza la discriminazione nei confronti dei poveri che ha luogo persino nella stessa comunità cristiana. In altri modi ritornano i muri di separazione abbattuti da Gesù. L’emarginazione dei poveri non avviene soltanto quando essi sono confinati nei posti più umili, ma anche e soprattutto quando non si comunica con loro e si impedisce loro di parlare. Togliere la parola a qualcuno o a tutti rappresenta il fallimento di una comunità
Di fronte ai gravi problemi che affliggono l’umanità è sempre più forte la tentazione di erigere muri o di intervenire con la forza. Ma il fallimento di questi metodi mette in luce come solo un dialogo sincero può realizzare la pace e garantire un benessere accessibile a tutti. Ma il dialogo non è facile perché il più delle volte prende il sopravvento la ricerca del proprio interesse immediato, a scapito del bene comune. La Chiesa può dare un grande contributo alla ricerca di dialogo, a patto però che sappia superare la struttura gerarchica, in forza della quale ad alcuni è consentito parlare e agli altri è imposto il silenzio. Soltanto mediante un dialogo a tutto campo al suo interno la Chiesa può diventare maestra di dialogo tra popoli, religioni e culture.
Non so se la persona guarita da Gesù fosse veramente un muto o solo un balbuziente, come sembra dire il testo greco, che si richiama al testo di Isaia riportato nella prima lettura. D’altra parte mi viene in mente il proverbio che dice: «Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire». In realtà nelle due letture si parla metaforicamente di persone che sono affette da un blocco mentale che impedisce loro di comunicare. E infatti nella prima lettura si tratta di un popolo che, dopo aver fatto l’esperienza dell’esilio, ricomincia ad ascoltare la voce del suo Dio all’interno di un intenso dialogo comunitario.
Anche il miracolo attribuito a Gesù è una metafora che mette in luce il suo progetto, quello cioè di far rinascere un popolo oppresso e diviso e introdurlo nel regno di Dio da lui annunziato. Per raggiungere questo scopo Gesù non ha fatto delle belle prediche ma ha aperto con coloro che lo attorniavano un dibattito fatto di botta e risposta. Gesù era un grande comunicatore e sapeva molto bene che soltanto attraverso la parola, ascoltata e pronunziata, si creano conoscenza reciproca, sentimenti, affetti, impegno e collaborazione. Senza comunicazione un popolo non esiste: lo sanno bene i regimi autoritari.
Purtroppo ci sono vari modi per mettere a tacere le persone, quali interrompere, squalificare l’interlocutore, impedire l’accesso all’informazione, stordire con messaggi pubblicitari o fuorvianti. Giacomo nella seconda lettura mette in luce soprattutto la discriminazione a cui sono sottoposti i poveri, ai quali è negato il diritto di parola. E potremmo aggiungere altre categorie come illetterati, giovani, donne. Ma per poter ascoltare e parlare correttamente bisogna imparare. Questo è certo il compito della scuola. Ma si tratta di un’arte che si impara soprattutto esercitandola. E per questo esistono tre ambiti fondamentali: la famiglia, la comunità di fede e l’associazione politica. Che cosa ne abbiamo fatto?