Tempo di Pasqua B – 2. Domenica
Il tema della liturgia di questa domenica viene indicato dalla prima lettura in cui si presenta la condivisione dei beni come esigenza fondamentale della comunione fraterna. Questo infatti è il messaggio che ci proviene dall’esempio dei primi cristiani, membri della comunità di Gerusalemme. In essa gli apostoli proclamavano con forza la risurrezione di Gesù, e i credenti aderivano a questo messaggio diventando un cuor solo e un’anima sola Questo cambiamento interiore si manifestava poi nella loro disponibilità a condividere i propri beni per venire incontro ai bisogni dei più poveri.
Nel brano del vangelo viene riportato il racconto dell’apparizione di Gesù ai discepoli così come è descritto nel vangelo di Giovanni. Anzitutto Gesù conferisce ai discepoli il dono della pace come frutto della sua passione e morte. Inoltre egli li manda nel mondo a perdonare i peccati e per questo dona loro lo Spirito Santo. All’inizio del quarto vangelo, Giovanni il Battista aveva indicato Gesù come l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo; ora egli stesso assegna ai discepoli il compito di lottare contro il peccato in tutte le sue forme. Essi quindi dovranno essere gli strumenti di un grande progetto di riconciliazione di tutti gli esseri umani fra loro e con Dio. Per mezzo loro Gesù vuole attuare una convivenza nuova basata sull’amore. L’episodio di Tommaso è una scena simbolica che ha uno scopo didattico. Con essa l’evangelista vuole dissipare i dubbi di coloro che fanno fatica ad accettare la risurrezione di Gesù come inizio di una vita nuova nella propria persona e nella storia umana.
Nella seconda lettura si affronta il tema della fede che si concretizza nell’osservanza dei comandamenti di Dio; essi non sono gravosi perché hanno come scopo il bene di tutti i suoi figli. Non tratta semplicemente di aderire a verità astratte o a direttive morali, ma piuttosto di continuare l’opera di Gesù nella storia umana. Inoltre l’autore ci assicura che la nostra fede vince il mondo. Se ci impegniamo nel compito di portare al mondo il perdono di Dio, possiamo essere sicuri della vittoria, nonostante tutte le prove e le sconfitte a cui andremo incontro.
La vittoria del Crocifisso sui poteri del mondo si rende palese nella realizzazione di un grande progetto di riconciliazione che comporta anzitutto un’equa distribuzione dei beni di questo mondo. Si tratta di un’utopia per la quale vale la pena di impegnarsi. Ma ciò sarà possibile solo se sapremo rinunziare a tante forme di superfluo per far sì che altri abbiano il necessario. In questa impresa la comunità cristiana deve essere la palestra nella quale il credente si addestra, imparando a combattere l’ostacolo più grosso che è quello dell’ingordigia umana.
Se dobbiamo credere all’evangelista Giovanni, Gesù risorto ha inviato gli apostoli nel mondo con il compito di perdonare i peccati. Per il lettore cattolico il pensiero va immediatamente alla confessione e ai ricordi non troppo positivi che gli sono rimasti fin da quando, ancora bambino, ha fatto la prima comunione.
Ma è proprio vero che, secondo l’evangelista, Gesù parlava della confessione? A parte il fatto che questa pratica allora non esisteva ancora, bisogna ricordare che lo stesso evangelista aveva definito Gesù, con le parole del Battista, «l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo»: colui che elimina non i peccati al plurale, ma il peccato, cioè l’ingiustizia che predominano nella società, vincendo quello che chiama «il principe di questo mondo», cioè il diavolo. Una lotta che i discepoli devono perpetuare nella storia dell’umanità, affinché si attui quella pace che per Gesù è la sintesi di ogni bene.
E che dire di quel «miscredente» di Tommaso? Perché non ha creduto? Ma in che cosa non ha creduto? Che Gesù fosse veramente uscito dal sepolcro? Non credo che questo fosse l’oggetto della sua fede persa e ritrovata. Se non altro, perché dopo averlo visto in carne e ossa, non c’era più bisogno di credere. Invece Tommaso è la figura simbolica di chi è rimasto deluso da Gesù: lui è morto, e il mondo è rimasto come prima. Come pensare di poter vincere il mondo in forza della fede in lui?
Per i primi cristiani la risposta era chiara: pur senza aver visto Gesù essi lo incontravano nei loro raduni comunitari. Nella prima lettura infatti si narra che essi, ispirati dalla loro fede, mettevano in comune tutto, persino i loro beni materiali. Era questo il segno che un mondo diverso era possibile e che valeva la pena battersi perché esso si realizzasse, non solo per sé ma per tutti.
E allora che dire della confessione? Essa è stata un’alternativa intimistica al grande progetto di Gesù: una liberazione personale invece di un impegno comunitario per una società più giusta e umana.
Videoconferenza
Il comportamento dei cristiani di Gerusalemme dà l’impressione di essere, più che un modello per tutta la Chiesa, espressione di una piccola setta i cui membri si conoscevano, avevano «un cuor solo e un’anima sola» e trovavano spontaneo collaborare gli uni con gli altri. In realtà quei cristiani non negavano la proprietà privata ma ritenevano naturale che i più benestanti collaborassero, nei limiti del possibile, con i loro fratelli più bisognosi. Nel corso dei secoli ci sono stati tanti tentativi di imitare l’esempio dei cristiani di Gerusalemme. Un’interpretazione laica di questa esperienza è stata fatta dal comunismo che però, come diverse esperienze analoghe di carattere religioso, non ha avuto successo. È difficile ricavare dall’esperienza dei primi cristiani qualche orientamento per gestire i processi economici estremamente complessa di una società moderna. Tuttavia la descrizione di Luca negli Atti degli apostoli rappresenta una sfida anzitutto per la Chiesa. Bisogna riconoscere che esistono tanti cristiani che fanno opera di volontariato, specialmente in campo assistenziale. Ma la comunità cristiana dovrebbe essere principalmente una scuola di formazione alla solidarietà: purtroppo non sempre ciò avviene. L’esempio dei primi cristiani rappresenta anche una sfida per la società civile, in cui tutti dovrebbero cercare il bene comune, ponendo fine allo scandalo dell’accumulo nelle mani di pochi di quello che spetta a tutti. Tutti i cristiani dovrebbero operare perché ciò avvenga non per forza ma per convinzione: a questo si riferisce, secondo il vangelo di Giovanni, il compito di «perdonare i peccati» che Gesù risorto ha assegnato ai suoi discepoli. È importante ricordare che, come dice la seconda lettura, non si può amare Dio senza amare tutti i suoi figli.