Tempo di Pasqua A – 3. Domenica
Le letture di questa domenica richiamano il tema delle Scritture a cui i primi cristiani fanno appello per annunziare la risurrezione di Gesù. Nella prima lettura Luca riporta il primo discorso fatto da Pietro per annunziare la risurrezione di Gesù. Egli è preoccupato soprattutto di dimostrare che essa era stata preannunziata nelle Scritture perché, se ciò non fosse vero, i suoi connazionali ben difficilmente avrebbero accettato un evento così straordinario. Per noi oggi il suo discorso è problematico perché, da quanto ne sappiamo, non risulta che gli eventi riguardanti Gesù fossero preannunziati dalle Scritture. Ma forse Pietro intendeva qualcos’altro.
Anche nel brano del vangelo avviene qualcosa di simile. I discepoli di Emmaus non credevano nella risurrezione di Gesù perché non avevano ancora capito le Scritture. Quando lo sconosciuto gliele spiega, a loro arde il cuore nel petto: egli infatti mostra loro che nelle Scritture, anche se in esse non si parla esplicitamente di lui, è delineato un progetto di salvezza che Gesù ha portato a compimento e che non poteva non concludersi se non con il suo ritorno al Padre. Ma solo in seguito, allo spezzar del pane, essi riconoscono nel loro compagno di viaggio Gesù risorto. Questo racconto vuole dimostrare che Gesù si riconosce in due modi interconnessi: leggendo le Scritture e partecipando alla vita di una comunità che ne fa la memoria.
Nella seconda lettura l’autore, che si presenta come l’apostolo Pietro, rivolgendosi a cristiani di origine giudaica, interpreta Gesù come «agnello senza difetti e senza macchia», cioè che ha praticato fino in fondo la non violenza: è così che ci ha liberati dal peso dei nostri limiti e condizionamenti, indicandoci la via per raggiungere la Dio.
La messa è per noi il luogo per eccellenza dell’incontro con Gesù. Per questo nella liturgia cristiana ci sono tre letture ricavate rispettivamente dall’AT, dai vangeli e dagli altri scritti cristiani. Le letture ci immergono nel piano di Dio attuato da Gesù e nell’esperienza che di esso hanno fatto i primi cristiani. Ma è nello spezzare il pane, all’interno di un intenso rapporto comunitario, che incontriamo Gesù vivo e operante in mezzo a noi.
La testimonianza delle Scritture
Certo non doveva essere facile per i primi cristiani, veri e autentici ebrei, dimostrare che quell’uomo appeso a una croce rappresentava il compimento di tutto il cammino di fede del loro popolo, descritto nelle pagine delle Scritture. Infatti da nessuna parte si diceva che il Messia doveva fare quella fine. Eppure nella loro storia c’erano stati tanti loro connazionali che avevano subito una morte atroce per essere fedeli al loro Dio. Questo Dio non era certamente un moloc che voleva il sangue dei suoi figli; la fedeltà a lui significava la fedeltà ai valori della giustizia, al rispetto per ogni persona, alla ricerca della pace, quali erano descritti appunto nella sua Carta costituzionale, i dieci comandamenti. Per questo l’uomo appeso alla croce non era il segno di una sconfitta, causa di vergogna, ma la garanzia che Dio non aveva abbandonato il suo popolo e faceva ancora sorgere eroi capaci di dare la vita perché esso fosse degno della sua vocazione.
Di qui all’annunzio della risurrezione il passo era breve. Per i primi discepoli non c’era bisogno di sepolcro vuoto, di visioni di angeli o di incontri inaspettati. Il Crocifisso era vivo perché rinasceva continuamente nei loro cuori, lo sentivano presente nelle loro assemblee, erano certi che solo da lui poteva venire il segnale di una liberazione che non consisteva in una rivolta armata ma nella scoperta della vera democrazia, cioè nella lotta contro ogni discriminazione e sfruttamento della persona umana.
Il racconto dei discepoli di Emmaus, sebbene la sua origine sia di carattere eminentemente pedagogico, era molto significativo in proposito. Il collegamento della vicenda di Gesù con la storia del loro popolo, narrata nelle Scritture, infiammava il loro cuore. Ma è nello spezzare del pane che hanno riconosciuto in quello sconosciuto la persona stessa di Gesù. Era infatti nel gesto di spezzare il pane in suo ricordo che i primi cristiani ritrovavano l’ispirazione per essere una comunità alternativa rispetto alla società circostante. Nel corpo spezzato e nel sangue versato essi vedevano il segno di una speranza: un mondo nuovo era possibile e valeva la pena pagare un prezzo perché si realizzasse.
Sono molto d’accordo con questi commenti. Mi piace in particolare la frase di Sandra “…progettualità più ampia che richiede di avere una conoscenza globale della bibbia, di sapersi muovere in questa facendo collegamenti e approfondimenti critici,…”. Il desiderio di avere commenti piu’ approfonditi sulle letture mi ha spinto verso Nicodemo e sono anche alla continua ricerca di messe a Roma dove possa sentire delel omelie piu’ approfondite e critiche, non “devote”.
Capisco pero’ le difficolra’ pratiche: non tutte le comunita’ sono uguali e non tutti hanno tempo per approfondimenti durante la settimana. Pero’ bisogna pur partire e fare qualcosa. Un caro saluto
Michele Laraia
Quello che mi sembra importante è soprattutto rimanere radicati nella propria cultura, a partire dalla quale bisogna esaminare la Scritture senza preconcetti. Il messaggio biblico parla ancora oggi, ma non più con le modalità di un tempo. Questo molti preti se lo dimenticano e di conseguenza assistiamo all’esodo dalle chiese. Resta però una parte di popolazione che, almeno per il fatto religioso, vive in una cultura ancestrale. Queste persone sono ancora interessate in vari modi alla religiosità tradizionale. Bisogna tener conto anche di loro, ma non permettere che abbiano il monopolio della ricerca religiosa e della vita ecclesiale.
Sono d’accordo con i precedenti interventi. Anch’io mi sono chiesta più volte che senso abbia mantenere nella Messa tutta una ritualità che ci rimane estranea, assolutamente incapace di coinvolgerci. Per non parlare poi delle letture, i cui messaggi spezzettati e spesso incomprensibili, almeno per quanto riguarda l’Antico Testamento, ci lasciano perplessi e insoddisfatti. E già noi, frequentatori della messa della domenica sera, siamo fortunati perchè ci conosciamo e anzi, in molti casi, abbiamo sviluppato tra noi rapporti di amicizia.
Non so che dire, io non sono molto addentro nella questione, ma non mi pare che nella chiesa si stia sviluppando un serio dibattito per una riforma radicale delle liturgie e in particolare della messa. Alla fine si rischia che, come spesso succede, la questione si risolva da sè, con i giovani che abbandonano in massa una liturgia ritenuta priva di senso.
Oggi la lettura della Bibbia più che portare a Cristo rischia di allontanare la gente da lui perché è letta in modo fondamentalista ed edificante. Anche le nostre messe rischiano di avere lo stesso effetto perché tutta celebrazione è centrata sulla “consacrazione” che rende Gesù presente fisicamente e non sulla memoria comunitaria della sua persona e del suo messaggio. Come è possibile parlare di comunità se i presenti non si conoscono, non scambiano nulla, non si riconoscono nella vita quotidiana? Una vera riforma della Chiesa deve partire non dalla diffusione della bibbia ma da un metodo nuovo di lettura e da una revisione radicale delle nostre liturgie.
La messa nel suo insieme a me richiama una sequela di atti rituali fissati con precisione che provengono dal passato, senza una struttura e una coerenza veramente intellegibile.
Le letture, spezzettate di domenica in domenica, stimolano sul momento, delle riflessioni, spesso un po’ emotive, ma non si inseriscono in una progettualità più ampia che richiede di avere una conoscenza globale della bibbia, di sapersi muovere in questa facendo collegamenti e approfondimenti critici, capaci di aiutarci anche in qualche attualizzazione.. Spesso veniamo in chiesa e, prima della messa, leggiamo frettolosamente il foglietto delle letture (quante volte l’ho fatto!) e così la messa resta un puro atto devozionale che non può cambiare nulla nella nostra vita tranne l’illusione di aver compiuto il mio dovere di cristiana. La messa deve essere preparata durante la settimana, ora abbiamo gli strumenti, e sarebbe un grande aiuto non riflettere sempre da soli.
Per me il momento centrale della celebrazione è sempre stato quello eucaristico dove riuscivo a sentirmi un po’ più autentica … non ho mai pensato al pane e al vino, ma piuttosto ai discepoli di Emmaus, al loro camminare insieme, confrontarsi, tenere vivo tra loro Gesù.
Non posso più venire a messa, da molto prima dei limiti imposti dal coronavirus, e questo mio scrivere le riflessioni è il tentativo di tener vivo il mio dialogo con i discepoli di Emmaus.