Tempo Ordinario A – 02. Domenica
In questa domenica la liturgia propone una terza manifestazione di Gesù, presentato da Giovanni il Battista come «Agnello di Dio». Nella prima lettura ritroviamo un personaggio, il Servo del Signore, del quale si parla in quattro carmi riportati nella seconda parte del libro di Isaia. Domenica scorsa abbiamo letto il racconto della sua vocazione. Oggi la liturgia ci propone il secondo dei quattro carmi che lo riguardano. In esso si dice Dio ha avuto per lui una stima tanto grande da conferirgli il compito non solo di riportare a lui le tribù di Israele e ricondurle nella loro terra, ma anche di essere luce delle nazioni. Egli dovrà portare la salvezza fino ai confini della terra. In realtà il Servo è stato mandato direttamente al suo popolo. Ma il suo messaggio improntato alla non violenza ha un valore universale. Si tratta di una scelta difficile, che pagherà con la morte. Perciò in seguito sarà paragonato a un agnello condotto al macello, a una pecora muta di fronte ai suoi tosatori (Is 53,7).
Nel brano del vangelo si parla di Giovanni il Battista che riconosce in Gesù «l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo». In questa espressione è interessante il simbolismo dell’agnello che, letto in riferimento al tema del Servo del Signore di cui parla la prima lettura, presenta Gesù come il liberatore del popolo, non dalla dominazione romana, come tanti si aspettavano, ma dal peccato. Giovanni il Battista non parla dei peccati individuali ma del «peccato del mondo». Con questa espressione si indica una situazione di peccato che si manifesta nelle strutture ingiuste, nella corruzione, nella violenza, che causano sofferenza e morte. Gesù è venuto proprio per combattere contro questo peccato che pervade il mondo. E ha fatto ciò non provocando una rivoluzione violenta ma mettendosi dalla parte degli ultimi e condividendo le loro sofferenze.Così facendo però ha suscitato l’odio dei potenti che l’hanno eliminato.
Nella seconda lettura Paolo si rivolge ai cristiani di Corinto chiamandoli «santi» e sottolineando che essi sono tali in quanto hanno creduto in Gesù e sono in sintonia con tutti coloro che in ogni luogo lo invocano. Come discepoli di Gesù i cristiani devono essere uniti non solo fra loro ma anche con tutti i credenti che appartengono ad altre religioni e con tutti gli uomini e donne di buona volontà, per lottare contro ogni ingiustizie e violenza.
Il perdono del peccato è qualcosa che ci riguarda da vicino non solo come individui ma anche come membri di una comunità che lotta, con mezzi non violenti, contro le strutture ingiuste di questo mondo. Ma questo comporta la necessità di puntare su un rapporto vero fra persone, prima che sul culto e sulle devozioni, accettando le sofferenze e le prove che ne conseguono.
Sandra ha detto una cosa molto bella. Siamo creature incompiute, non creature cadute. Ricordiamo genesi 2,3: “e benedice Elohim il giorno settimo e lo santifica perchè in eso cessa da ogni opera sua che ha creato, Elohim da elaborare”.
Il testo ci dice il modo di custodire il sabato “da fare per il secolo”. In deut 4,12: “Dio parlò a voi di mezzo al fuoco….ed espose a voi il suo patto che comandò a voi di eseguire, dieci parole, e le scriveva su due lastre di pietra. E mi comandò Dio in quel tempo di insegnarvi statuti e leggi da fare nella terra, che voi state per cominciare a conquistare”. Il sabato è l’inizio del progetto di mondo del nostro Dio, l’inizio del tempo in cui questo progetto deve essere elaborato, il progetto dei cieli e della terra da compiere. Che dobbiamo elaborare col nostro Dio per farli diventare storia di molti popoli, fino al compimento nel secolo.
Dalle letture e dai commenti di oggi apprezzo in modo particolare Gesù venuto a “togliere il peccato dal mondo”: è un richiamo ad uscire dalla dimensione individualistica e intimistica che molto spesso si chiude su se stessa, con la colpa e la penitenza, per guardare al male e al peccato che si produce nel mondo ad opera di uomini e donne che lo vivono. Un male diverso dalle quotidiane singole mancanze, un male principalmente segnato dalla mancanza di azioni e relazioni buone, corrette, giuste e felici da parte di singoli che fanno parte di comunità in cui l’essere insieme nel tempo – presente e futuro – non incide al punto di mutare comportamenti.
Aperti dunque alla riparazione dei viventi nella dimensione collettiva…perché non ci salviamo da soli…
: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”
Nel suo messaggio evangelico le cui fondamenta ritrovo nel discorso della montagna Gesù, ci ha tracciato la via che lui stesso in totale sintonia con il Padre, ha saputo percorrere fino all’estremo dono di sé, vincendo così il male e la morte stessa, non per se stesso, ma per sostenerci sulla strada del bene comune, del perdono vicendevole, della misericordia, della trasformazione, evoluzione di questa nostra povera umanità, perché, ben lo sappiamo, da soli non sapremmo come vincere “il male che si annida nel cuore dell’uomo”
Lui che ha raggiunto la pienezza della vita, “ il figlio prediletto di Dio” nel quale si è compiaciuto, che ha passato la vita a sanare, a fasciare ogni cuore ferito, continua a sostenere ogni nostro sforzo di rinnovamento, riprendendoci per mano ogni qualvolta perdiamo la meta prefissa che conduce a quel mondo nuovo cui tutti aspiriamo.
Saper riscoprire il suo Spirito che abita in noi e in ogni uomo, in qualsiasi latitudine della terra.
Saperlo ascoltare, e vivere, la sua Parola, per diventare sempre più umani…
Non sono facili (per me) le letture di questa liturgia. Credo che il problema del male sia quello che più ci mette in crisi. Il peccato secondo la concezione evoluzionista non è più da accostare a un senso di colpa per un’azione sbagliata, ma piuttosto a quello di limite che trova la sua logica spiegazione negli stadi di incompiutezza che l’uomo deve attraversare. Non siamo creature cadute, quanto creature incomplete. E questo penso sia valido affrontando il problema del singolo, sia quello del mondo. “Agnello di Dio che togli il peccato dal mondo”. Cioè Gesù.
Gesù in senso evolutivo ha raggiunto la pienezza della vita, non è bloccato da limiti ancora da superare.
Quanto più vogliamo seguire Gesù tanto più dobbiamo cercare di superare i limiti, crescere spiritualmente, evolvere per non “creare il male”.
Del male, anche quello che ci fa inorridire e pensiamo compiuto solo da altri, siamo in parte responsabili. Certo non torturiamo gli immigrati, non togliamo volutamente il piatto di minestra al povero, non intimiamo a un clochard di dormire su una panchina al freddo … Ma le relazioni che dipendono da noi, dove possiamo creare il bene, dove non siamo ostacolati nell’espressione della nostra libertà, come le conduciamo?
Essere “ontologicamente” in relazione secondo me significa che siamo “un insieme” in cui tutti collaboriamo. E se c’è molto male, dobbiamo fare più bene perché l’insieme cresca: che cosa significa operare, promuovere un cambiamento culturale e direi etico se non questo?
Per questo è tanto importante capire il significato e l’impegno del vivere comunitariamente – sentirci comunità – e imparare a declinarne le caratteristiche che ci permettono di avvicinarci ad essere “creature complete”.