Domenica delle Palme – B
Marco 11,1-10 oppure Giovanni 12,12-16
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Isaia 50,4-7
Salmo 21/22
Filippesi 2,6-11
Marco 14,1–15,47
Nella domenica delle Palme la liturgia ricorda l’ingresso di Gesù in Gerusalemme (vedi le letture proposte per la processione) e al tempo stesso propone una riflessione sulla passione di Gesù. Come sfondo biblico viene riportato nella prima lettura il terzo carme del Servo del Signore. In esso si sottolinea il coraggio e la determinazione con cui questo personaggio affronta le sofferenze a cui va incontro per attuare il progetto di rinascita del popolo di Israele al termine dell’esilio. Egli si sente chiamato da Dio per questa missione e intende portarla a termine unicamente con un metodo non violento.
Come brano del vangelo la liturgia propone quest’anno (Anno B) il racconto della passione di Gesù secondo il vangelo di Marco, il più antico dei tre sinottici, dal quale dipendono gli altri due. Secondo l’evangelista, Gesù ha affrontato la sua morte in modo libero e consapevole: dopo averla ripetutamente preannunziata, è diventato lui stesso il regista degli avvenimenti. In altre parole, egli non si è trovato davanti a un ordine di Dio a cui obbedire in modo meccanico, ma ha partecipato attivamente al progetto del regno di Dio che annunziava. La coerenza e il coraggio con cui ha portato a compimento le sue scelte non tolgono nulla, nella presentazione di Marco, alla gravità delle sofferenze a cui è stato sottoposto, affrontate tutte con una profonda umanità. Le folle sono ormai scomparse ed egli è condannato sia dal potere religioso che da quella politico; egli è tradito da uno dei suoi, un altro lo rinnega e tutti lo abbandonano. Egli avanza completamente solo verso il momento finale della sua vita. Pur avendo previsto tutto ciò, Gesù sperimenta una tristezza mortale: nell’orto degli Ulivi cerca invano conforto nei suoi e prega il Padre di liberarlo da quell’ora, ma non è esaudito. Le sue ultime parole sulla croce esprimono la sofferenza estrema, quella cioè di sentire che anche Dio tace, non interviene a salvare il suo fedele. E infine muore dopo aver dato un forte grido. Su di lui si riversa tutta quella sofferenza umana con la quale fin dall’inizio si era fatto solidale. Ma è proprio così che egli inaugura quel regno di Dio che aveva annunziato. Per Marco è solo nel momento della sua passione, quando non c’è più pericolo di malintesi, che Gesù riconosce di essere il Messia. Ed è ancora di fronte al mistero della sua morte che un gentile, il centurione, lo riconosce come il Figlio di Dio.
Nella seconda lettura Paolo mette in luce come Gesù abbia rifiutato qualsiasi privilegio e si sia fatto solidale con l’umanità accettando la morte più brutale e crudele. Ma proprio in questa umiliazione ha manifestato la grandezza più sublime che gli è stata riconosciuta non solo da Dio ma anche da tutte le creature.
Gesù non ha voluto la sua morte terrificante ma l’ha affrontata con coraggio come conseguenza di una scelta di vita che lo ha portato a combattere il male in modo non violento, mediante l’arma dell’amore, aspettandosi il successo unicamente da Dio. Perciò ha accettato non solo il tradimento e la solitudine ma anche l’angoscia di un apparente fallimento. Per questo la sua morte ci tocca da vicino, ci coinvolge e ci libera dal peccato che alla sua radice non è altro che la violenza dell’uomo sull’uomo.
L’enigma di una morte crudele
Dopo duemila anni di cristianesimo i motivi della morte di Gesù restano uno dei tanti misteri insoluti della storia. Oggi più che mai infatti ci si rende conto che i primi cristiani, tutti di estrazione ebraica, non erano tanto interessati ai fatti quanto piuttosto al loro significato. È vero che essi in un primo momento avevano aspettato un Messia potente e vincitore, che avrebbe liberato il loro popolo dalla dominazione romana; di fronte alla morte tragica di Gesù essi però hanno riscoperto l’esperienza dei martiri, primo fra tutti il cosiddetto Servo del Signore (cfr. 1a lettura), per i quali solo la fedeltà fino alla morte al Dio liberatore poteva salvare tutto il popolo dal caos determinato da una dominazione straniera.
E in realtà era proprio questa la visione che aveva ispirato la breve apparizione pubblica di Gesù. Egli era convinto che la liberazione promessa da Dio, che egli definiva come «regno di Dio», doveva cominciare dagli ultimi, i poveri, i diseredati, i perseguitati, non per sostituire una classe sociale con un’altra ma per creare una società nuova, in cui fossero rispettati i diritti di tutti in un clima di solidarietà e di condivisione. Era questo che egli intendeva quando ha messo l’amore del prossimo come base del suo progetto di liberazione.
Per l’attuazione di questo progetto Gesù si è battuto non solo a parole ma anche con gesti concreti in favore dei malati, degli affamati, degli afflitti da ogni tipo di sciagura. Tutto ciò lo ha reso inviso alle autorità del suo popolo che, pro bono pacis, e con notevoli vantaggi economici, collaboravano con i romani. Ma soprattutto erano costoro quelli che più avevano da temere se l’insolito predicatore avesse avuto successo. La sua morte era dunque prevedibile e lui stesso l’aveva messa nel conto: di essa i responsabili diretti sono stati proprio i romani anche se nell’ombra, dietro le quinte, altri hanno tramato.
Ma il progetto di Gesù non è stato bloccato, neppure quando la chiesa, che si rifaceva a lui, ha preso una strada diversa. E ancora oggi la sua morte svela le trame sovversive dei nuovi dominatori, in campo sia politico che economico.
Buongiorno, mi trovo d’accordo con la ricerca sempre più in profondità di quello che abbiamo ricevuto, anche se da mano d’uomini del tempo, ma quando si mette in dubbio ciò che abbiamo ricevuto mi sembra che questo scopo originale diventi negazione dello Spirito Santo, del Dio vivente, solo orgoglio che vuol piegare l’intelligenza divina a semplice intelligenza umana o come scrive Isaia: « Che perversità! Forse che il vasaio è stimato pari alla creta? Un oggetto può dire del suo autore: «Non mi ha fatto lui»? E un vaso può dire del vasaio: «Non capisce»? ». Tutto questo nella mia ignoranza.
Buona domenica delle Palme.
Videoconferenza
Nel racconto della Passione di Gesù, così come è narrata da Marco, si possono notare tre tendenze tipiche dei primi cristiani: 1) sottolineare la suprema dignità di Gesù, 2) supplire la mancanza di informazioni dirette con l’utilizzo di testi biblici e 3) attenuare il più possibile la responsabilità dei romani nell’uccisione di Gesù. Ne deriva che diversi dettagli del racconto non sono storicamente attendibili. Ciò appare in diversi casi: Gesù conosce in anticipo quello che sarebbe capitato e adempie le promesse contenute nelle Scritture; gli artefici della cattura e della condanna sono le autorità giudaiche; il motivo della condanna è di carattere religioso in quanto davanti al tribunale giudaico Gesù si dichiara Messia e Figlio di Dio (cosa che poteva non essere vera, ma non era una bestemmia); Pilato riconosce che Gesù è innocente e lo condanna solo perché istigato dai giudei; i due condannati con lui sono delinquenti comuni; un centurione romano, vedendo il modo in cui è morto, lo riconosce come Figlio di Dio. Da vari indizi seminati nel testo e dal confronto con i racconti degli altri evangelisti risulta invece che i veri responsabili della morte di Gesù sono stati i romani che certo erano al corrente della sua attività e dei suoi movimenti. Ciò che li preoccupava era il carattere sovversivo della sua predicazione che aveva per oggetto la venuta imminente del regno di Dio e il suo ruolo di messia (re dei giudei) in opposizione al potere dominante. L’attività di Gesù si è accentuata durante la festa di Pasqua. Fra i suoi seguaci vi erano forse persone armate. Perciò i romani hanno deciso di intervenire. Alcuni dei capi giudei potrebbero aver collaborato passando informazioni alle autorità romane. Qualcuno dei seguaci di Gesù potrebbero essere stato arrestato e giustiziato con lui. L’evangelista sottolinea la solitudine e l’angoscia di Gesù, che si è sentito abbandonato non solo dai suoi discepoli ma anche da Dio, ma mette in luce, nella scena simbolica del Getsemani, la sua determinazione di essere fedele fino alla fine alla missione che gli era stata affidata. In tutto il racconto del vangelo che precede la Passione l’evangelista mette in luce come il regno di Dio da lui predicato non consistesse in un potere teocratico ma in rapporti nuovi, basati sull’amore del prossimo, a iniziare dai poveri e dai diseredati.