Tempo Ordinario B – 06. Domenica
In questa domenica si propone il tema dell’accoglienza del diverso e del superamento di ogni tipo di emarginazione, specialmente quella imposta dalla società in nome della religione.
Nella prima lettura si parla dei risvolti sociali di una malattia come la lebbra che in nome della religione imprimeva in chi ne era colpito uno stigma che lo spingeva ai margini della società. È drammatico il fatto che il lebbroso stesso si riteneva impuro e doveva avvertire gli altri di questo suo stato per evitare che subissero il contagio non della malattia, ma dell’impurità che essa comporta.
Nel brano del vangelo i protagonisti sono due uomini che contestano una legge che era imposta con l’autorità stessa di Dio. Anzitutto il lebbroso che, invece di restarsene segregato fuori dell’accampamento, va direttamente incontro a Gesù e gli chiede di essere risanato. E poi Gesù che si permette di toccare il lebbroso, diventando impuro lui stesso. Avrebbe potuto farne a meno. Ma con questo gesto vuole dire chiaramente che per lui Dio non può aver imposto una legge così crudele e discriminante. L’evangelista osserva che Gesù agisce per compassione, ma al tempo stesso, dopo averlo guarito, lo ammonisce severamente e lo scaccia: non è contro il malato guarito che Gesù si adira ma contro il male di cui è portatore.Egli manda il lebbroso guarito dal sacerdote perché riconosca la guarigione avvenuta e lo reintegri nella comunità. Gesù afferma così che nessuno deve essere emarginato, in qualunque modo ciò avvenga. E di questo devono essere consapevoli anzitutto i sacerdoti. Infine però ne subisce le conseguenze, perché viene lui stesso discriminato, in quanto non può più entrare pubblicamente in una città.
Nella seconda lettura, Paolo esorta i corinzi a fare tutto per la gloria di Dio e a evitare tutto ciò che possa dare scandalo non solo ai cristiani ma anche ai giudei e ai greci. Dare scandalo rappresenta una forma di discriminazione nei confronti di coloro che la pensano o agiscono diversamente. Per Paolo dunque, quando non sono in gioco i valori fondamentali del messaggio cristiano, è necessario il rispetto dell’altro e l’apertura a una ricerca comune, nonostante le differenze. È questa la regola alla quale tutti i credenti devono ispirare tutte le loro scelte. Paolo è il primo a dare l’esempio.
Oggi vi sono ancora tanti esempi di discriminazione nei confronti di diverse categorie di persone: i rom o i migranti, gli omosessuali, i senza fissa dimora, ma anche semplicemente a coloro che intendono pensare con la propria testa, classificati come liberi pensatori. Se vogliamo seguire Gesù dobbiamo imparare a essere trasgressivi, non solo nei confronti di certe leggi palesemente ingiuste, ma di regole e di tabù di cui è impregnata la società e a volte anche la Chiesa. Ciò non può avvenire se non si è disposti a pagare un prezzo a volte alto.
Certo si fa fatica a concludere la prima lettura con l’acclamazione «Parola di Dio» e a rispondere con il consueto «Rendiamo grazie a Dio». Se fosse effetto di una preoccupazione di carattere sanitario, la segregazione del lebbroso, anche se ingiusta, sarebbe almeno comprensibile. Pensare invece che fosse Dio stesso a volerla per motivi suoi ci lascia veramente interdetti.
Il gesto di Gesù che tocca il lebbroso richiama il bacio storico di Fernando Aiuti, pioniere della lotta contro l’Hiv, sulla bocca di una donna sieropositiva. In questo caso si trattava solo di dimostrare che il virus non si trasmette attraverso la saliva. Toccando il lebbroso Gesù voleva significare qualcosa di più: Dio non colpisce i suoi figli ma, al contrario, vuole che nessuno di loro sia mai privato della solidarietà e dell’amore che gli competono.
Purtroppo però il germe della discriminazione e dell’emarginazione non finisce mai di contagiare la nostra società. Lo attesta il modo con cui sono trattati i detenuti nelle carceri o gli immigrati nelle nostre società evolute. Ma anche le religioni hanno fatto la loro parte. Per restare in campo nostro, basti pensare alle infinite lotte contro gli eretici, i dissidenti, i liberi pensatori, gli ebrei; e ancora oggi l’emarginazione dei divorziati risposati o degli omosessuali conviventi sta a dimostrare che la discriminazione è una realtà difficilmente estirpabile. Alla radice c’è un male profondo che consiste nel potere clericale, detenuto solo da maschi, i quali si sono arrogati il diritto di imporre le loro teorie a un popolo considerato come una massa di ignoranti e di peccatori.
Ma allora che fare? Sarà sufficiente «demascolinizzare» la chiesa, come raccomanda il papa? Mah, forse la strada è un’altra. Quella di chiederci sinceramente che cos’è una comunità e come funziona una leadership che anima e non condanna, che mette al primo posto il Vangelo e non il Catechismo o, peggio, il Codice di diritto canonico. Il comportamento di Paolo da lui descritto nella seconda lettura ci sia di esempio.