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Tempo Ordinario C – 07. Domenica

Amore dei nemici e non violenza

In questa domenica la liturgia propone di riflettere sul tema della non violenza. Nella prima lettura si raccontano le vicende del futuro re Davide il quale è perseguitato dal re Saul che vuole eliminarlo. Davide fugge e, quando si presenta l’occasione di uccidere il suo avversario, lo risparmia. Per lui Saul è comunque il suo re ed egli sente il dovere, se non proprio di amarlo, almeno di rispettarlo e difendere la sua vita. È questo un significativo esempio di non violenza.

Nel brano del vangelo sono riportati alcuni detti nei quali si pone l’accento sulla necessità di amare non solo le persone care ma anche i propri nemici. Gesù non distingue tra nemici personali, cioè quanti in qualche modo ci fanno del male, e coloro che trasgrediscono le leggi religiose e sociali e infine i nemici del proprio popolo, identificati soprattutto con gli odiati romani, stranieri, pagani e oppressori. Nei confronti di tutti Gesù esige anzitutto che si eviti di reagire alla violenza di cui si è fatti bersaglio con altrettanta violenza. Ma Gesù non si ferma qui: egli vuole una non violenza attiva. Per questo invita a fare nei confronti degli altri, di tutti, anche degli estranei e dei nemici, quello che ciascuno vorrebbe fosse fatto a sé. È questa la regola d’oro, attestata nelle culture più disparate. Poi Gesù sottolinea che il vero amore esige la gratuità, cioè la disponibilità ad amare senza aspettarsi nulla in cambio. Il discepolo di Gesù deve imitare l’esempio di Dio che è misericordioso verso i gli ingrati e i malvagi. E misericordia vuol dire non giudicare e soprattutto perdonare, accettare le persone come sono, senza pretendere nulla. Gesù assicura che, così facendo, si riceve molto più di quello che si è dato. Non in termini di vantaggi o di ricompense, in questa o nell’altra vita, ma come realizzazione di quel bene comune che egli chiama «regno di Dio».

Nella seconda lettura Paolo presenta Gesù come il nuovo Adamo, cioè il capostipite di una nuova umanità liberata dal condizionamento della materia che, secondo le concezioni del tempo, era la sede del peccato. Gesù è risuscitato perché è colui che ha percorso per primo la strada di un amore non violento. Aderire a lui significa superare il proprio egoismo e mettersi al servizio degli altri, chiunque essi siano.

La tentazione di ogni essere umano è quella di chiudersi nel proprio piccolo mondo rappresentato dai familiari, dagli amici, dai propri concittadini e, perché no, dai membri della comunità cristiana. In questa prospettiva è spontaneo considerare l’altro, il diverso, lo straniero come un pericolo per la propria identità, per il proprio benessere oppure magari per la propria fede. Di qui sorgono non solo le guerre ma anche i muri, quelli fatti di cemento o quelli che portano all’emarginazione dell’altro. Per questo l’insegnamento di Gesù ha importanti ricadute anche in campo sociale e politico, dove è necessario superare il desiderio di vendetta è impegnarsi per il perdono e la riconciliazione .

Tempo Ordinario C – 04. Domenica

Un amore che parte da lontano

Il tema di questa liturgia è indicato nella seconda lettura in chi è riportato l’inno all’amore di Paolo. In questa angolatura possiamo leggere la prima lettura in cui si racconta la vocazione di Geremia. Se vogliamo caratterizzare questo personaggio dovremmo definirlo il classico «profeta di sventura». Il compito che riceve è drammatico, poiché dovrà denunziare i misfatti di tutto il popolo, cominciando dai re, dai capi, dai sacerdoti e soprattutto dovrà annunziare la prossima distruzione di Gerusalemme e la deportazione del suo popolo. E non dovrà neppure risparmiare le altre nazioni, in quanto il fatto di essere lo strumento di cui Dio si serve per punire Israele non giustifica la loro crudeltà. Possiamo dire che Geremia non amava il suo prossimo? No certo. Anzi lo amava alla massima potenza, perché ha messo a rischio la sua vita per riportarlo sulla retta strada e rendere possibile la sua rinascita dopo la terribile prova dell’esilio.

Anche gli abitanti di Nazaret hanno considerato Gesù come un guastafeste perché, dopo aver annunziato la liberazione del popolo, non aveva soddisfatto il loro desiderio di ottenere da lui favori e prodigi. Le loro attese sono chiaramente espresse nel proverbio «Medico cura te stesso» che vuol dire per loro: «Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui nella tua patria». Per loro era importante l’amore del prossimo, cioè pensare prima ai suoi e per gli altri riservare se mai le briciole, e magari neppure quelle. Per Gesù questo non è amore del prossimo ma qualcosa che rassomiglia molto alla mafia. E per dare un fondamento indiscutibile al suo messaggio ricorda due casi in cui un profeta ha favorito degli stranieri, una vedova libanese a cui Elia ha assicurato il cibo durante una carestia e poi addirittura ha risuscitato il figlio e un generale siriano che Eliseo ha guarito dalla lebbra. Gesù vuole dire che è troppo facile amare i propri cari, dai quali si aspetta sempre un ricambio. L’amore vero comincia invece da molto lontano, dai più poveri e bisognosi, ai quali bisogna unirsi per cercare il bene di tutti. Un messaggio molto semplice, al quale però i nazaretani reagiscono addirittura cercando di farlo fuori.

L’amore di cui parla Paolo nella seconda lettura non consiste semplicemente nel fare delle grandi opere. È chiaro che, se sono fatte per essere lodati ed esaltati dagli altri, non servono a nulla. Per Paolo l’amore vero appare soprattutto nel modo di rapportarsi agli altri: benevolenza, umiltà, rinunzia al proprio interesse, ricerca della giustizia. Vorrei sintetizzare dicendo che il vero amore consiste nell’abbattere le barriere, non fare o richiedere favori, coinvolgere tutti nella ricerca di una società più giusta e solidale.

Stranamente la discriminazione nei confronti dell’altro, del diverso, sta ritornando in auge proprio ora, in un periodo in cui invece la tecnologia avvicina le persone, le religioni e le culture, offrendo strumenti enormi per superare le differenze. È questo tipo di egoismo che si trasforma spesso in razzismo. E purtroppo a volte si confonde l’egoismo con l’amore del prossimo. Possiamo immaginare che cosa direbbe oggi Geremia. Perciò non dobbiamo abbassare la guardia. Ne va del nostro futuro e di quello di tutta l’umanità.

Tempo Ordinario A – 07 Domenica

Un amore senza frontiere

Nel brano del vangelo viene riportato un brano del Discorso della montagna che corrisponde alla seconda parte del discorso delle antitesi, quella in cui Gesù propone la non violenza e l’amore dei nemici. Come sfondo di questo insegnamento, viene proposto il testo biblico nel quale si esorta il popolo a imitare la santità di Dio, cioè l’attributo in forza della quale egli è al di là di tutti i limiti, fisici e morali, di ogni creatura. Subito dopo l’autore riporta alcuni comandamenti che ricalcano in parte il decalogo: è chiaro dunque che gli israeliti conseguono la santità non con particolari purificazioni rituali, ma osservando i comandamenti di Dio. Al termine di questa lista viene riportato il comandamento che prescrive l’amore del prossimo, il quale appare quindi come il culmine e il riassunto di tutti gli altri. Il prossimo è qui il vicino, il fratello, colui che appartiene allo stesso popolo. L’amore viene esteso espressamente anche al nemico personale, verso il quale deve essere evitato l’odio e il rancore. Nello stesso testo, un po’ più avanti, lo stesso amore è richiesto nei confronti del forestiero, cioè dello straniero che si è stabilito in Israele, che fa parte anch’egli del prossimo. Ma il comandamento non si estende allo straniero in senso proprio, cioè a chi non appartiene al proprio gruppo sociale, politico e religioso. Questo tipo di straniero era considerato come un nemico da cui guardarsi, in quanto rappresentava un pericolo per la vita sociale e religiosa.

Su questo sfondo devono essere lette le parole di Gesù riportate nel vangelo.Egli anzitutto non accetta la legge biblica del taglione (occhio per occhio dente per dente), con la quale si voleva porre un limite alla violenza: per Gesù infatti la violenza non deve essere semplicemente contenuta ma eliminata del tutto. Certo bisogna lottare contro il male, ma superando la tentazione della violenza, anche quando ciò comporta pesanti conseguenze. Gesù inoltre critica il comandamento biblico che inculca l’amore del prossimo nella misura in cui spesso era interpretato in modo limitativo. Per Gesù l’amore, per essere vero, deve estendersi anche ai nemici: gli stranieri, i non giudei, gli oppressori politici e i persecutori. Per Gesù questa è l’immediata conseguenza della fede in Dio. Se Dio è padre di tutti, ama tutti, distribuisce a tutti suoi doni, allora non si può più odiare nessun essere umano, chiunque egli sia. Solo così si imita la perfezione (santità) di Dio, per quanto ciò è possibile a una creatura. 

Nella seconda lettura Paolo contesta la sapienza di questo mondo, che porta al culto della personalità e alla divisione e pone al primo posto la comunità, che è il tempio nel quale Dio ha posto la sua dimora. Ma una comunità è autentica nella misura in cui si apre a tutti e dialoga con tutti, anche con gli estranei e i nemici.

Non violenza e amore dei nemici rappresentano il culmine dell’insegnamento di Gesù, al quale egli stesso ha ispirato tutta la sua vita. Si tratta di una scelta difficile, che va contro corrente e a volte cozza contro quello che sembra il dovere di difendere i propri beni, le persone care, la patria, da ingiuste aggressioni. Naturalmente si tratta di un ideale verso cui tendere, non di una regola da applicare rigidamente. Spesso i cristiani non sono stati fedeli a questo insegnamento in quanto hanno preteso di avere uno statuto speciale nel piano di Dio a scapito degli altri, spesso visti come infedeli da convertire o da distruggere. Se vogliono essere fedeli al vangelo, i cristiani devono abbandonare ogni esclusivismo e affermare con decisione che tutti sono uguali davanti a Dio e si salvano nella misura in cui collaborano alla realizzazione di un mondo migliore.