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Tempo di Quaresima A – 2. Domenica

L’incontro con Dio

Il tema delle letture di questa domenica è quello dell’incontro con Dio. Nella prima lettura si racconta che Abramo lo ha incontrato nell’atto stesso di ricevere una chiamata, quella di lasciare patria, clan e famiglia e di avviarsi verso una terra sconosciuta. Una decisione molto avventata e rischiosa in un contesto sociale come quello in cui viveva il patriarca. Come contropartita riceve tre promesse: egli riceverà una benedizione da trasmettere a tutti, diventerà progenitore di un grande popolo, otterrà in dono una terra nella quale questo popolo potrà soggiornare. Belle speranze! Ma intanto Abramo è a capo di un piccolo gruppo di migranti, ha una moglie sterile e, quando arriverà alla terra promessa, si accorgerà che essa è già abitata da altri. C’è di che scoraggiarsi. Come ha potuto Abramo credere in questa promessa? È Dio quello che ha incontrato o è il prodotto di una mente malata?

Il racconto riportato dal vangelo ci riporta alle stesse drammatiche domande. Gesù ha appena preannunziato per la prima volta la sua morte e risurrezione, smentendo le attese trionfalistiche dei suoi discepoli. Ora si sta recando a Gerusalemme, dove le sue predizioni si realizzeranno. In questo contesto l’evangelista riporta lo strano episodio della trasfigurazione nel quale Gesù appare contornato da una luce divina. Mosè ed Elia, che appaiono accanto a lui, rappresentano rispettivamente la legge e i profeti. Sono loro che hanno tenute vive lungo i secoli le promesse fatte ad Abramo in mezzo a parziali realizzazioni e grandi disastri. Ora in Gesù si manifesta pienamente il piano di Dio che sta per realizzarsi. Ma non nei termini che Pietro aveva immaginato quando lo aveva indicato come il Messia. Come per Abramo quello che si profila è un fallimento! E la voce dal Cielo dice ai discepoli: «Ascoltatelo!». È duro seguire uno che sta per essere condannato a morte credendo che sia lui a salvare il mondo.

Nella seconda lettura viene ripreso un tema caro a Paolo: la salvezza è un dono gratuito di Dio, che non si ottiene mediante le opere buone, ma mediante la fede. Ma per ottenerlo bisogna saper ascoltare, come la voce dal cielo ha suggerito ai discepoli. Ciò significa non cessare mai di credere e di sperare. E soprattutto bisogna essere disposti a pagare di persona.

L’incontro con Dio ha luogo quando si crede che il mondo migliore annunziato da Gesù sia possibile. Perché solo da questa fede nasce quel rapporto con Dio che sta all’origine di tanti altri rapporti nei quali si rende già presente nell’oggi quel mondo nuovo che si spera. Perché il mondo nuovo non si realizza con grandi imprese ma attraverso rapporti che trasformano le persone. 

Tempo Ordinario C – 27. Domenica

Fede e merito

Le tre letture riportate dalla liturgia mettono in luce il tema della fede.  Nella prima lettura il profeta Abacuc, dopo essersi interrogato circa il comportamento di Dio nelle terribili situazioni in cui il popolo sta vivendo, riceve da Dio una risposta che deve essere conservata con la massima cura, per verificarne la realizzazione. Essa consiste in una minaccia per l’empio e una promessa per il giusto: il primo è destinato a perire mentre il giusto, in forza della sua fede, vivrà. In altre parole, di fronte alla sventura solo il giusto sopravvivrà perché ha fiducia in Dio. La fede consiste dunque nel fidarsi di Dio, ricercando ciò che è bene e ciò che è giusto, sapendo che alla fine il suo progetto si realizzerà. Chi ha questa fede saprà affrontare anche le peggiori disgrazie senza soccombere.

Questo messaggio si collega con quello del vangelo. Gesù afferma l’importanza della fede, di cui sottolinea l’efficacia in vista del regno di Dio. Essa non consiste tanto in verità da accettare senza una verifica della ragione, e neppure nella sicurezza che Dio esaudirà le proprie richieste, quanto piuttosto in una fiducia totale in lui e nella sua provvidenza. È questa fede che aiuta a non soccombere alle prove della vita, ma piuttosto a farne un’occasione di crescita e di amore verso il prossimo. Sulla stessa linea si pone la parabola del servo inutile. Essa non mira certo a presentare Dio come un padrone autoritario e privo di considerazione verso i suoi figli. Ciò che Gesù vuole sottolineare è che la fedeltà a Dio, che si manifesta nella pratica delle buone opere, non comporta per sé il diritto a una ricompensa da parte di Dio. In altre parole il bene è fine a se stesso, cioè deve essere compiuto perché è bene, non per avere un merito di fronte a Dio o agli uomini. Dopo aver fatto tutto ciò che la sua fede gli ispirava, il discepolo deve abbandonarsi totalmente alla misericordia gratuita di Dio cercando di scoprire il suo agire misterioso nelle vicende di questo mondo.

Nella seconda lettura si riprende il tema della fede. L’autore, a nome di Paolo, esorta Timoteo a ravvivare il dono di Dio che è in lui. E specifica che Dio gli ha conferito il suo Spirito che non è causa di timidezza ma di forza, di carità e di prudenza. E lo invita a soffrire con lui per il vangelo seguendo gli insegnamenti che ha ricevuto da lui. 

La fede non consiste nell’accettare a occhi chiusi determinate dottrine e neppure nell’aspettarsi interventi miracolosi da parte di Dio o un premio per le proprie buone azioni. Aver fede significa invece mettere al centro della propria vita la ricerca del Bene in tutte le sue manifestazioni. Dio è amore e solo chi crede nell’amore è un vero credente.