Santa Famiglia B
In questa domenica la liturgia ci invita a meditare sulla famiglia di Gesù: è questa un’occasione preziosa per riflettere sulla famiglia e sul momento di crisi che sta passando.
Nella prima lettura si racconta di Abramo, il quale aveva ricevuto da Dio un grande compito, quello di essere il padre di un popolo mediante il quale la benedizione di Dio avrebbe raggiunto tutte le nazioni. Ma Sara, la moglie di Abramo, era sterile. Il patriarca allora, conformemente agli usi del tempo, ha cercato di avere un figlio da un’altra donna. E c’è riuscito. Ma Dio gli ha rivelato che il figlio della promessa non doveva nascere solo da lui ma anche da Sara sua moglie, come poi effettivamente è accaduto. Il progetto di Dio doveva attuarsi mediante una coppia di persone unite da una profonda solidarietà.
Nella lettura del vangelo è protagonista un’altra coppia, quella di Giuseppe e Maria, i quali portano al tempio per la prima volta il loro figlio Gesù e lo consacrano a Dio. In questa occasione il vecchio Simeone riconosce in Gesù il salvatore, gloria di Israele e luce delle nazioni, a prezzo però di una dolorosa rottura che sarà la causa della sua morte. E anche a Maria una spada trafiggerà l’anima. Le parole di Simeone fanno capire, come del resto tutti i racconti dell’infanzia, che Maria e Giuseppe sono coinvolti nel progetto che Dio si sta realizzando per mezzo di Gesù. Giuseppe morirà prima che Gesù cominci il suo ministero pubblico, ma Maria gli sarà vicina e pagherà di persona per la sua partecipazione alla sua missione. Anche la coppia di Giuseppe e Maria, come quella di Abramo e Sara, è impegnata in un progetto più grande che va al di là dell’ambito ristretto della loro famiglia.
Nella seconda lettura Abramo e Sara sono proposti come modello di fede. È chiaro che la loro fede non consisteva tanto nell’accettazione di quelle che noi chiamiamo “verità della fede” e che sono riassunte nel credo. Per loro la fede si identificava con la fedeltà, la fiducia in Dio e all’accettazione del progetto che aveva proposto a loro.
Nei secoli sono stati imposti agli sposi pesanti oneri (indissolubilità, procreazione, difesa della vita ecc.) senza proporre loro un grande progetto di salvezza in cui essere coinvolti proprio come espressione del loro amore. Mentre generano nuovi esseri umani essi sono chiamati a impegnarsi insieme per dare vita a un mondo migliore per i loro figli e per tutta l’umanità. Ma questo ideale si può scoprire solo all’interno di comunità vive, nelle quali trovare ispirazione e aiuto per superare le difficoltà che ne ostacolano l’attuazione.
Risuona spesso di questi giorni l’accorato appello, rivolto specialmente alle donne, perché ritornino «a far figli», perché altrimenti ne va di mezzo l’economia e il benessere di tutti. E poi aleggia il tema dei «matrimoni arcobaleno», delle coppie irregolari, delle famiglie queer e via dicendo. D’altronde anche la famiglia di Giuseppe e di Maria, stando agli evangelisti, non era del tutto regolare, visto che l’unico figlio era nato al di fuori del matrimonio, e questo era stato fatto per un ordine superiore. Senza parlare di Abramo che, per avere un figlio, era ricorso addirittura alla maternità surrogata.
In realtà, ciò che sta capitando oggi è un effetto secondario di un mutamento culturale, in forza del quale i rapporti tra persone non sono più sottoposti al rigido controllo della società, ma sono diventati prerogativa delle singole persone, che si uniscono in base al sentimento, alla scelta personale, all’attrazione sessuale, diventata una dimensione che pervade tutti i rapporti in vista di un maggiore benessere personale.
Certo, c’è di che rallegrarsi o scandalizzarsi. Ma questa è la realtà, nella quale, come sempre, bene e male si mescolano in modo inestricabile. Ma come mettere ordine in questa complessità? Resta la regola secondo cui la mia libertà è condizionata (o meglio potenziata) dalla libertà altrui. E ciò significa la ricerca di un bene comune, che vada al di là del mio piacere immediato e personale: un prezioso passepartout, ma purtroppo di difficile attuazione, specialmente in un momento in cui si prospetta un futuro senza speranza.
E qui si innesta la visione cristiana del matrimonio, che si basa sulla fedeltà reciproca in vista del regno di Dio, cioè sulla fede in un mondo nuovo, annunziato da Gesù, per il quale vale la pena di impegnare, insieme, tutta la propria vita. Non solo procreando figli (di Dio), ma impegnandosi nella vita politica e sociale, avendo sempre di mira il bene di tutti, cominciando dagli ultimi; e questo all’interno della comunità di quanti condividono la stessa fede e la stessa speranza.