Mese: Giugno 2020

Tempo Ordinario A – 14. Domenica

La scelta della non violenza

La liturgia di questa domenica mette in luce il tema della mitezza, intesa come non violenza. Nella prima lettura il profeta Zaccaria parla del futuro Messia, cioè del re che, secondo le attese dei giudei, sarà inviato da Dio negli ultimi tempi per instaurare il suo regno. Egli è presentato come un re giusto e umile, cioè mite, non violento. In quanto tale, egli è anche vittorioso nei confronti dei poteri che dominano questo mondo. Entra nella sua città cavalcando un umile asinello. Egli farà scomparire la guerra e instaurerà un’epoca di pace. Il futuro Messia annunzierà un Dio che, secondo il Salmo responsoriale, è misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore, buono verso tutti, dotato di una tenerezza che si espande su tutte le creature. Solo in forza di questi attributi di Dio l’attesa del suo regno è fonte di speranza.

Il brano del vangelo mostra come l’annunzio profetico sia stato interpretato da Gesù. Egli dice anzitutto che Dio si rivela ai piccoli, cioè ai poveri, agli emarginati, cioè a coloro che non hanno meriti da presentare. Gesù si presenta come colui che rivela questo Dio perché è in un rapporto profondo e personale con lui. Perciò lui solo è capace di dare ristoro a tutti coloro che sono affaticati e oppressi. E invita tutti a imparare da lui, che è mite e umile di cuore: solo così troveranno ristoro per le loro anime. Con queste parole Gesù trasforma radicalmente la nostra immagine di Dio. Dio non è più quello che dà ordini e punisce i trasgressori, ma colui che accoglie tutti e li trasforma con il suo amore.

Nella seconda lettura Paolo afferma che Dio non ci fa violenza esigendo da noi prestazioni che, come creature limitate, non saremo mai capaci di dargli. Dio ci ha dato il suo Spirito in forza del quale non siamo più sotto il dominio della carne. Ciò significa che non tocca a noi diventare buoni e santi. È Dio che ci trasforma nel nostro intimo per mezzo del suo Spirito, che è anche lo Spirito di Gesù.

Queste letture possono dare un grande conforto a chi si trova in situazioni difficili e dolorose. Ma possono generare anche un senso di rifiuto nei confronti di un Dio che non interviene per liberare proprio quei piccoli, poveri e oppressi che sono oggetto del suo amore. Se invece partiamo dalla premessa che Dio è un mistero insondabile, allora si comprende che le letture non ci parlano di Dio ma di noi stessi e ci dicono che la non violenza è l’unico mezzo efficace per attuare un mondo migliore. È un’indicazione di rotta che ci riguarda come individui e come società. Solo mettendoci su questa lunghezza d’onda possiamo incontrare il vero Dio e non il dio che ci siamo creati a nostra immagine e somiglianza. 

Tempo Ordinario A – 13. Domenica

Una comunità profetica

Il tema della liturgia di questa domenica è suggerito dalla prima lettura in cui si parla del profeta e dell’accoglienza che gli è dovuta. Il profeta è l’uomo di Dio che esorta, incoraggia e illumina le menti e i cuori alla ricerca di Dio. Egli tiene desta la speranza in un mondo migliore e aiuta ad anticiparlo nella propria vita e in quella di tutto il popolo. Se denunzia gli errori di chi sbaglia, lo fa non per condannarlo ma per aiutarlo a superare gli ostacoli e a riprendere il cammino. La donna che accoglie Eliseo condivide con lui i valori e gli ideali che egli porta con sé: perciò è piena di devozione nei suoi confronti. Ma non ha figli, è senza futuro. Il profeta, facendole avere un figlio, le apre nuove prospettive, le offre la possibilità di dare un senso alla propria vita.

Nel brano del vangelo sono riportati alcuni detti di Gesù, tratti fuori dal loro contesto originario e qui raccolti come conclusione del «discorso missionario» (Mt 10). Fra essi la liturgia suggerisce di mettere in primo piano quello in cui Gesù afferma che chi accoglie un profeta perché è un profeta avrà la ricompensa del profeta. Alla luce di questo detto si possono interpretare gli altri che fanno parte della raccolta. Il profeta è il discepolo che ama Gesù più di suo padre e di sua madre, che prende la sua croce e lo segue, che è disposto a perdere la propria vita per causa sua. Egli è un giusto proprio perché si fa piccolo, senza pretesa di potere o di onori. Perciò chi accoglie il discepolo di Gesù accoglie lui e con lui il Padre che lo ha mandato; anche solo chi gli darà un bicchiere d’acqua non perderà la sua ricompensa. Ne consegue che chi accoglie un profeta/discepolo di Gesù perché è un profeta avrà la ricompensa del profeta. Ciò significa che una comunità che si rifà a Gesù è tale solo se sa accogliere coloro che hanno il carisma profetico. Se una comunità non accoglie i profeti non può diventare essa stessa profetica e quindi non può essere missionaria, perché la missione consiste nell’aprire gli occhi al futuro di Dio e nell’interpretare i segni dei tempi che egli ha messo sul cammino dell’umanità. 

Nella seconda lettura l’apostolo Paolo afferma che, con il battesimo, siamo morti e risuscitati con Cristo. E poi specifica che Cristo è morto al peccato una volta per sempre e ora vive per Dio. Solo diventando un’unica cosa con Gesù possiamo anche noi morire al peccato, cioè combattere contro ogni tipo di ingiustizia e di prevaricazione. Ciò è possibile solo se formiamo una comunità profetica, che annunzia, come ha fatto Gesù, la venuta del regno di Dio.

Una comunità che «uccide» i profeti si appiattisce sul culto, sulle regole morali, sulle gerarchie e sui dogmi fissati una volta per sempre. Così facendo essa non è missionaria e quindi non può pretendere di essere il corpo di Gesù. Solo i profeti infatti danno a una comunità la possibilità di guardare in avanti, di interpretare i segni dei tempi e di annunziare un mondo migliore, basato sulla giustizia e sulla solidarietà.

Tempo Ordinario A – 12. Domenica

La fiducia nella prova 

La liturgia di questa domenica propone il tema della fiducia nella prova e nella persecuzione. Nella prima lettura Geremia denunzia le violenze che vengono compiute nei suoi confronti da parte di coloro che rifiutano il suo messaggio di pace e non violenza. Di fronte a costoro egli ha una reazione di rifiuto e chiede a Dio con insistenza di punirli severamente. Egli è convinto che essi sono anche nemici di Dio. Ma alla fine si affida a Dio, lasciando a lui di intervenire come meglio crede in suo favore.  

Nel vangelo viene riportata una piccola raccolta di detti attribuiti a Gesù: egli invita anzitutto i discepoli a non avere paura di coloro che li perseguitano. Un giorno verrà alla luce tutto ciò che è nascosto e apparirà chiaramente chi è dalla parte del giusto. Essi perciò devono annunziare a tutti con coraggio quello che hanno sentito da lui. Inoltre Gesù raccomanda di non aver paura di coloro che possono uccidere il corpo ma non l’anima; piuttosto devono temere colui che ha il potere di far perire nella geènna sia l’anima che il corpo: questo riferimento al giudizio finale riflette la mentalità del tempo e si comprende unicamente come invito a trovare le proprie sicurezze non nei beni materiali e neppure nella propria incolumità fisica ma nei valori fondamentali della vita, di cui Dio è la fonte. Il detto successivo insiste sulla fiducia in Dio, il quale si prende cura anche dei semplici passeri; Dio conosce persino il numero di capelli che sono nel nostro capo; noi valiamo più di molti passeri. A questi detti l’evangelista ne aggiunge uno che contiene un ulteriore spunto di fiducia ma anche una minaccia: Gesù riconosce davanti al Padre coloro che lo riconoscono ma rinnega coloro che lo rinnegano: Gesù non rifiuta nessuno ma chi lo rinnega, quando lo ha adeguatamente conosciuto, rifiuta un progetto di vita da cui dipende la propria realizzazione umana e quindi rischia di condannarsi a una vita senza significato. La fiducia in Dio non ha nulla a che fare con il fatalismo ma implica una scelta al servizio di quei valori che soli possono dare un senso alla vita umana. 

Secondo Paolo il peccato esiste anche là dove non c’è una legge che proibisca la violenza e l’ingiustizia. La legge non è necessaria per comprendere ciò che è bene e ciò che è male. Non sarà la legge a far cambiare mentalità alla gente ma la grazia di Dio di cui Gesù è un intermediario: egli infatti con il suo esempio è capace di mostrare come la ricerca del bene sia un ideale per il quale vale la pena di spendere la propria vita. 

Impegnarsi per il regno di Dio, cioè per una società più giusta, non violenta, può costare caro. Spesso è forte la tentazione di ritirarsi, di cedere le armi. Solo una ferma convinzione e la fiducia in una Realtà superiore che governa il mondo possono dare il coraggio di far fronte alle situazioni più difficili, rinunziando alla violenza e all’odio. In questa luce anche i momenti di crisi e di insuccesso possono diventare opportunità che aprono strade nuove per raggiungere questo scopo.