Mese: Dicembre 2020

Natale – 2) Messa dell’aurora ABC

Il dono della salvezza

Nella seconda messa di Natale la liturgia suggerisce una riflessione sul significato della salvezza a cui allude il nome stesso di Gesù. La prima lettura propone un annunzio che viene fatto a Sion: arriva il tuo Salvatore. In Gesù si compie l’attesa di salvezza propria di tutto il popolo ebraico e quella inconscia di tutta l’umanità.

Nel brano del vangelo si narra l’arrivo a Betlemme dei pastori a cui l’angelo aveva annunziato la nascita di Gesù. Quello che colpisce in questo racconto è il fatto che, quando i pastori trovano Maria e Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia, non ricevono ulteriori ragguagli circa il significato di questa nascita, ma sono loro a riferire quanto avevano saputo dall’angelo. E le loro parole destano stupore, quasi che i diretti protagonisti non fossero a conoscenza di quanto stavano vivendo. Sono i poveri e gli emarginati i primi a capire il significato della nascita di Gesù. Maria stessa è colpita da quanto loro le dicono e ne fa l’oggetto della sua meditazione.

L’autore della seconda lettura riprende il tema della salvezza, presentandola come un dono gratuito di Dio. Tutto ciò che Gesù ha portato in questo mondo è dono di Dio, della sua misericordia. Se Dio non lo amasse, questo mondo non avrebbe avuto origine e non potrebbe sussistere. Gesù ci rivela l’amore infinito di Dio. Ma soprattutto l’autore sottolinea che la bontà di Dio si è rivelata in Gesù per tutti gli uomini.

Oggi nelle nostre città il Natale è diventato per molti un’occasione in cui fare sfoggio di un benessere che si manifesta nel consumismo. Sembra che la salvezza consista nel possesso dei beni materiali. Il Natale ricorda che la salvezza consiste in qualcos’altro: l’amore, la solidarietà la fraternità. Sono soprattutto i poveri, e non l’istituzione religiosa, che lo hanno capito. E da loro deve partire la salvezza a cui aspira il nostro mondo.

Avvento B – 4. Domenica

La dignità messianica di Gesù

La liturgia di questa domenica, che precede immediatamente il Natale, presenta alla considerazione della comunità il tema della dignità messianica di Gesù. Il termine messia, in italiano «unto» e in greco christos, indica il re di Giuda, discendente di Davide, in quanto consacrato con il rito dell’unzione. La prima lettura parla di una promessa fatta al re Davide, in forza della quale Dio si impegna a far sì che sul suo trono vi sia sempre uno dei suoi discendenti; inoltre gli promette di stringere con ciascuno di loro un rapporto specialissimo, analogo a quello di un padre con il suo unico figlio. Da questa profezia nasce, dopo la caduta del regno di Giuda, l’attesa di un re discendente di Davide che alla fine dei tempi sarà unto da Dio come re (Messia) con il compito di instaurare il suo regno in Israele e in tutto il mondo; egli perciò riceverà in modo speciale la dignità di Figlio di Dio. Al tempo di Gesù questa figura era interpretata in vari modi, ma sempre con una forte connotazione politica e militare.

Nel vangelo si presenta nuovamente il racconto della visita dell’angelo a Maria. Per capire questo testo, a cui non corrisponde nulla di simile in Marco, il vangelo più antico, bisogna ricordare che, secondo gli strati più antichi della tradizione evangelica, Gesù non ha mai preteso di essere il Messia ma si è limitato a non smentire, in qualche occasione, coloro che gli attribuivano questa dignità. Dopo la sua morte i primi cristiani si sono convinti, in forza della sua risurrezione, che lui era veramente il Messia atteso dai loro connazionali; al tempo stesso però hanno sottolineato come egli abbia inaugurato il regno di Dio non con le armi ma morendo in croce per i nostri peccati. Solo alla fine dei tempi sarebbe ritornato come re glorioso e giudice dei vivi e dei morti. Con il racconto simbolico dell’annunzio a Maria, Luca vuole mostrare come a Gesù competano, fin dalla nascita, i grandi titoli che in Israele si attribuivano al futuro Messia. Tutto il vangelo, di cui questa scena rappresenta il prologo, doveva spiegare in che modo egli intendeva la sua regalità.

Nel piccolo brano scelto come seconda lettura, si afferma che nel Vangelo di Gesù viene rivelato il piano misterioso di Dio che vuole la salvezza di tutte le nazioni.

L’affermazione della messianicità di Gesù per i primi cristiani aveva lo scopo di sottolineare lo speciale rapporto che lo univa a Dio. Purtroppo essa ha aperto la strada al culto di Gesù, facendo a volte dimenticare che egli non ha mai preteso l’adorazione della sua persona ma piuttosto ha invitato i suoi discepoli a seguirlo e a praticare il suo insegnamento.

Avvento B – 3. Domenica

La gioia dell’incontro con Gesù

Il tema della liturgia di questa domenica è quello della gioia. Nella prima lettura entra in scena un personaggio, consacrato con l’unzione regale, il quale è inviato da Dio a portare ai miseri un messaggio gioioso: le ferite dei cuori sono guarite, gli schiavi sono liberati, i prigionieri sono scarcerati e si apre un periodo in cui la misericordia del Signore prevale sul peccato dell’uomo. È un messaggio che riempie di gioia prima di tutto colui che lo annunzia. Si tratta di un progetto che secondo la Bibbia si attuerà pienamente solo un giorno, ma che già fin d’ora ci viene proposto come un ideale a cui tendere. 

Nel brano del quarto vangelo si descrive la testimonianza che Giovanni Battista ha dato a Gesù. La sua attività faceva pensare che fosse lui l’inviato di Dio che i giudei aspettavano. Secondo alcuni doveva essere il messia (Cristo), che avrebbe liberato il popolo dalla dominazione romana, oppure un antico profeta, magari Elia, ritornato in vita per preparare il giudizio finale di Dio. Giovanni il Battista nega di essere il Cristo, il profeta, Elia e si qualifica come la voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore. Il suo compito è unicamente quello di preparare la venuta del personaggio che essi aspettavano. Non si lascia montare la testa dal successo della sua opera di predicatore ma con grande umiltà si riserva un compito subordinato, senza potere e onori, quello cioè di annunziare uno più importante di lui, che si trova già fra loro e sta per iniziare la sua opera. In seguito dirà di essere come l’amico dello sposo che partecipa alla sua gioia. 

Nella seconda lettura Paolo invita tutti i membri della comunità non solo a pregare, a essere riconoscenti, a valorizzare i doni dello Spirito, a evitare ogni specie di male, ma prima di tutto ad essere veramente gioiosi. Il motivo di questa gioia, accompagnata dalla pace interiore, consiste nel fatto che è ormai vicino il tempo in cui si realizzeranno le promesse di Dio. Paolo aspettava entro breve tempo il ritorno di Gesù, ma la sua esortazione resta valida perché ogni giorno è possibile l’incontro con lui. 

L’invito alla gioia, rivolto a persone povere, sfruttate e diseredate, si basa sulla fede in un Dio che è misericordioso e ha un progetto di salvezza che riguarda anzitutto proprio loro. Oggi viviamo in un tempo di benessere e siamo tentati di cercare la gioia nel possesso delle cose materiali. Queste cose però possono dare un piacere momentaneo ma non la vera gioia. Questa si ottiene soltanto se si è disposti a condividere quello che si ha, impegnandosi per la realizzazione di un mondo più giusto e fraterno.